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Biuso
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Città: Catania/Milano


2900 Messaggi

Inserito il - 15/11/2007 : 19:02:00  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Annisettanta. Il decennio lungo del secolo breve
La Triennale di Milano
Fino al 30 marzo 2008





Cultura materiale: dischi, videogiochi, libri, film, fumetti, manifesti, volantini. Poi anche quadri, installazioni, le telefonate a Radio Popolare, la ricostruzione della prigione di Aldo Moro in via Montalcini –3,24 mq- i primi numeri di quotidiani e periodici, da Repubblica ad Alfabeta…e molto altro.

Il segno sotto il quale tutto questo vive è però, nonostante le dichiarazioni in contrario del curatore Gianni Canova, la nostalgia. E forse non poteva essere altrimenti, visto che quel decennio non solo è ancora troppo vicino ma permea in molte forme il presente. Canova afferma giustamente che quegli anni «non sono finiti, non sono passati. Sono ancora qui. Con i loro conflitti, le loro speranze, le loro categorie di interpretazione del mondo». Il culmine della nostalgia si raggiunge nella ricostruzione –dettagliata sino allo stupore- di un bar, con esattamente tutti gli oggetti, i tavoli, i banconi,i liquori, i manifesti, i flipper, i posacenere, compreso un televisore in bianco e nero che trasmette la semifinale Italia-Germania di Città del Messico nel 1970. Ma la nostalgia è un ostacolo alla comprensione, sempre. Sia nella vita privata che in quella collettiva e culturale. E quindi certe letture fornite in alcune sezioni sono in palese contraddizione con i reperti stessi della vita materiale. A proposito dei volantini, ad esempio, si dice che «negli anni Settanta volavano idee e ideali, oggi molta pubblicità». E tuttavia è la mostra stessa a evidenziare il manifesto pubblicitario nel quale Mao-Tse-Tung invita a bere un amaro. In realtà, dunque, è in quegli anni che il simbolo cede al logo e poi –oggi- al brand commerciale. Dall’ideologia alla merce il passo è stato breve. La conferma sta anche in un’intera sezione dal titolo Fiorucciland, che celebra i fasti del sarto milanese e delle sue coloratissime invenzioni. Nel bookshop della mostra è poi possibile acquistare i prodotti col suo marchio…

Gli anni Settanta sono stati intrisi anche di un radicale narcisismo che, abbandonata l’utopia e mutati i tempi economici, si è trasformato agevolmente in carrierismo e culto dell’apparire. Alla base sta l’irrazionalismo proprio dell’uomo-massa rimasto bambino, che tutto pretende nel momento stesso in cui distrugge le strutture che dovrebbero fornire soddisfazione ai suoi innumerevoli desideri. Non a caso, in Italia molti dei militanti di quella stagione sono ora convinti esponenti della Destra televisiva di Berlusconi. E infatti lo spazio forse più emblematico della mostra è intitolato La caverna catodica: una stanza dove sono ammucchiati decine di televisori, delle marche e dimensioni più diverse, che fanno da sfondo a dei video che trasmettono i programmi di quegli anni. Dalla caverna di Platone a quella catodica si conferma il primato teoretico della nostra cultura –theorein/vedere- e anche la natura menzognera delle ombre. Come scrisse un grande filosofo di quegli anni: «la realtà emerge dallo spettacolo, e lo spettacolo è reale. Questa reciproca alienazione è l’essenza e il sostegno della società esistente» (Guy Debord, La Société du Spectacle [1967], Gallimard 1992, aforisma 8, pag. 19).

Il luogo secondo me più inquietante ma più vero è anch’esso una caverna, nella quale si viene accolti dai fari accesi –e quindi accecanti- di una Alfa Romeo GT Veloce 2000 del 1975, grigio metallizzata, identica a quella posseduta e guidata da Pasolini. Le Lettere luterane e gli Scritti corsari rappresentano l’autointerpretazione più tragica e più reale di quegli anni. Lo scrittore vi afferma che «è giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda» (Scritti corsari, Garzanti 1993, pag. 11). L’orda d’oro degli anni Settanta celebrata da Nanni Balestrini fu in gran parte l’orda massificata e conformista della quale Pasolini aveva colto perfettamente natura e sviluppi.


agb
«È il possesso culturale del mondo che dà la felicità»
(Pasolini)

utente non registrato
Nuovo Utente



-410 Messaggi

Inserito il - 22/11/2007 : 10:06:09  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di utente non registrato Invia a utente non registrato un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Voglio condividere. Ma non ho visto la mostra. E mi piacerebbe davvero si riuscisse a fare mostre sulla cultura materiale di qualsiasi momento storico, ma non si fanno... Ancor più che "la nostalgia è un ostacolo alla comprensione", direi che le ricostruzioni sono un ostacolo alla comprensione: si continua a creare "falsi storici" che piacciono più delle indagini storiche.
Ma non posso aggiungere commenti sulla mostra, non avendola visitata.

Approfitto invece dello spunto Pasolini per inserire una lunga citazione (quasi l'intero scritto!) da uno degli articoli degli Scritti corsari, che oltre a essere illuminante su quegli anni è di una attualità sorprendente, a dimostrare che non c'è ancora abbastanza distanza.
Il titolo dell'articolo apparso su un numero del Corriere della sera del 1973 era "Sfida ai dirigenti della televisione":
"Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. [...] Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. [...] Si può dunque affermare che la "tolleranza" della ideologia edonistica, voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni.
[...] la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè, come dicevo, i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l’edonismo di massa [...] Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina).
Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?
No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. [...] Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i "figli di papà", i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. [...] Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo-borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piecolo-borghese, nell’adeguarsi al modello "televisivo" che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale, diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. [...]
La responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certe in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. [...] E attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.
Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Un giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata bruttata per sempre…"


______
b.mancuso@unict.it
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


2900 Messaggi

Inserito il - 22/11/2007 : 11:53:47  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ringrazio molto la Prof. Mancuso per questa sua splendida citazione che conferma non solo l'intelligenza e il rigore etico di Pasolini ma, in qualche modo, anche le sue capacità profetiche.

L'intreccio criminale della politica italiana era chiarissimo allo scrittore. Il cuore del potere, oggi, è costituito dalle banche e dalle televisioni. Mi sembra quindi opportuno riportare qui per intero il commento con il quale Ezio Mauro su Repubblica di oggi chiama finalmente la democrazia italiana col suo vero nome: una dittatura televisiva volta a "costruire il palinsesto supremo degli italiani".

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La struttura Delta
di EZIO MAURO


UNA versione italiana e vergognosa del "Grande Fratello" è dunque calata in questi anni sul sistema televisivo, trascinando Rai e Mediaset fuori da ogni logica di concorrenza, per farne la centrale unificata di un'informazione omologata e addomesticata, al servizio cieco e totale del berlusconismo al potere. L'inchiesta di "Repubblica" ha svelato fin dove può arrivare il conflitto d'interessi, che questo giornale denuncia da anni come anomalia italiana, capace di corrompere la qualità della nostra democrazia.

Nel pozzo senza fondo di quel conflitto, tutto viene travolto, non soltanto codici aziendali e doveri professionali, ma lo stesso mercato, insieme con l'indipendenza e l'autonomia del giornalismo. Con il risultato di una servitù imposta alla Rai come un guinzaglio per un unico padrone, ben al di là dell'umiliante lottizzazione tra i partiti, e i cittadini-spettatori truffati e manipolati proprio in quella moderna agorà televisiva in cui si forma il delicatissimo mercato del consenso.

Ci sono le prove documentali di questa operazione sotterranea, che ha agito per anni alle spalle dei Consigli di amministrazione, della Commissione di vigilanza, dei moniti del Quirinale sul pluralismo dell'informazione. Si tratta - come ha documentato "Repubblica" - di un'indagine della magistratura milanese sul fallimento dell'Hdc, la holding dell'ex sondaggista di Berlusconi (e della Rai) Luigi Crespi, che è stato per un lungo periodo anche il vero spin doctor del Cavaliere.

Dopo il fallimento del gruppo, nel marzo 2004, sono scattate perquisizioni e intercettazioni della Guardia di Finanza. E gli appunti dei finanzieri sulle conversazioni telefoniche rivelano un intreccio pilotato tra Mediaset e Rai che coinvolge manager di derivazione berlusconiana e uomini che guidano strutture informative, con scambi di informazioni tattiche e strategiche, mosse concordate sui palinsesti per "coprire" notizie politicamente sfavorevoli al Cavaliere, ritardi truffaldini nella comunicazione al pubblico di risultati elettorali negativi per la destra: con l'aggiunta colorita e impudente di notisti politici Rai che si raccomandano a Berlusconi, dirigenti Mediaset che danno consigli alla Rai sulla preparazione del festival di Sanremo. E un lamento, perché durante le riprese televisive dei funerali del Papa, "Berlusconi è stato inquadrato pochissimo dalle telecamere".


Non si tratta, com'è evidente, soltanto di un caso di malcostume politico, di umiliazione professionale, di vergogna aziendale. E' la rivelazione di un metodo che mina alle fondamenta il mito imprenditoriale berlusconiano, perché sostituisce la complicità alla concorrenza, la sudditanza all'autonomia, la dipendenza al mercato. Il tutto in forma occulta, con la creazione di una vera e propria rete segreta che crea un "gioco di squadra" - come lo chiamano le telefonate intercettate - che ha un unico capitano, un unico referente e un unico beneficiario: Silvio Berlusconi.

Trasmissioni d'informazione, come quella di Vespa, per la quale il direttore generale Rai garantisce che il conduttore "accennerà al Dottore ad ogni occasione opportuna", dirigenti della televisione pubblica che quando vengono a conoscenza di un discorso di Ciampi a reti unificate per la morte del Papa hanno come unica preoccupazione quella di organizzare un contraltare di Berlusconi al capo dello Stato, che potrebbe essere messo troppo "in buona luce", serate elettorali in cui si decide di "fare più confusione possibile" nel comunicare i risultati "per camuffare la loro portata".

In che Paese abbiamo vissuto? La politica - avversari e alleati di Berlusconi, tutti quanti defraudati da questa rete sotterranea costruita per portare acqua ad un mulino solo - è consapevole della gravità di queste rivelazioni, che dovrebbero spingerla ad approvare una seria legge sul conflitto d'interessi nel giro di tre giorni? E il Cavaliere, quando sarà sceso dal predellino di San Babila dove le sue televisioni lo hanno inquadrato in abbondanza, vorrà spiegare che mandato avevano i suoi uomini (spesso suoi assistenti personali) mandati ad occupare posizioni-chiave in Rai e Mediaset, se i risultati documentali sono questi?

La realtà è che in questo Paese ha operato e probabilmente sta operando da anni una vera e propria intelligence privata dell'informazione che non ha uguali in Occidente, un misto di titanismo primitivo e modernità, come spesso accade nelle tentazioni berlusconiane. Potremmo chiamarla, da Conrad, "struttura delta". Un'interposizione arbitraria e sofisticatissima, onnipotente perché occulta come la P2, capace di realizzare un'azione di "spin" su scala spettacolare, offuscando le notizie sgradite, enfatizzando quelle favorevoli, ruotando la giornata nel senso positivo per il Cavaliere.

Naturalmente con le telecamere Rai e Mediaset che ruotano a comando intorno a questa giornata artificiale, a questo mondo camuffato, a questa cronaca addomesticata. In una finzione umiliante e politicamente drammatica della concorrenza, del pluralismo, dei diritti del cittadino-spettatore, alterando alla radice il mercato più rilevante di una democrazia, quello in cui si forma la pubblica opinione.

Lo abbiamo già scritto e lo abbiamo denunciato più volte, ma oggi forse anche la politica più sorda e cieca riuscirà a capire. In nessun altro luogo si è formato un meccanismo "totale", così perverso e perfetto da permettere ad un leader politico di guidare legittimamente la più grande agenzia newsmaker del Paese (il governo) e di controllare insieme impropriamente l'universo televisivo, con la proprietà privata di tre canali e la sovranità pubblica degli altri tre.

A mettere in connessione le notizie trattate secondo convenienza politica e i canali informativi, serviva appunto la "struttura delta", ricca del know-how specifico del mondo berlusconiano, specializzato proprio in questo. Da qui alla tentazione di costruire il palinsesto supremo degli italiani, manipolando paesaggio e personaggi della loro vita, il passo è breve. E se la mentalità è quella che punta ad asservire l'informazione alla politica, la politica al comando, il comando al dominio, quel passo è probabilmente quasi obbligato.

E' ora possibile fare un passo per uscire da questo paesaggio truccato, da questa manipolazione della nostra vita. Purché le istituzioni, la libera informazione, il mercato e la politica lo sappiano. Sappiano che un Paese moderno, o anche solo normale, non può sopportare queste deformazioni delle regole e della stessa realtà: e dunque reagiscano, se ne sono capaci. La stessa mano che domani proporrà le larghe intese, è quella che ha predisposto il telecomando con un tasto unico. E truccato.


(22 novembre 2007)

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agb
«Non avevo una grande idea dell’uomo io»
(Céline)
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