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domenica 24 novembre 2024 ore 10:04:10
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


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Inserito il - 28/06/2004 : 17:50:33  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Informo dell’uscita di due miei articoli. Il primo è apparso sul numero di giugno di Informatica & Scuola (http://www.iwn.it/archivio/a12n02/a12n02.asp ). Si intitola «Linguaggio, artificio, robotica» ma è scaricabile dalla Rete solo per gli abbonati alla Rivista.

Il secondo, invece, si può leggere da subito (basta inserire alcuni dati). Si tratta di un'intervista che ho rilasciato a Franco Melandri, giornalista del mensile Una città ( http://www.unacitta.it/ ). Il titolo è «Memoria corporea». Come tutte le interviste, ha natura colloquiale e quindi spero sia anche facile da seguire. Ogni commento o domanda da parte di chi la dovesse leggere sarà per me di sicuro interesse.

agb
L'ultima trama tesserai di luce
(anonimo)

Katherine
1° Livello


Regione: Italia
Città: Giarre/Catania


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Inserito il - 06/07/2004 : 20:40:28  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Katherine Invia a Katherine un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Leggendo la sua intervista rilasciata al giornalista Melandri,concordo con l'idea che sia impossibile creare un essere umano identico ad un altro,poichè la sua:storia,memoria,vita passata,ecc.,non è possibile riprodurla mediante una semplice clonazione,è possibile solo riprodurre un essere umano che ha le stesse fattezze fisiche di un altro essere umano.
Però,mi son sempre chiesta se non fosse possibile,ad esempio,clonare una Katherine(Tommy:''Per carità di Dio,NO!!''Nonostante tutto concorderei con lui!),una identica a me,in tutto per tutto,questo clone poi potrebbe persino pensare ed agire come me,grazie al fatto che il suo cervello venga munito di un chip,contenente una serie di informazioni sulla mia vita passata,ciò che ho fatto nel passato,la mia memoria,perchè è proprio il nostro vissuto che determina le nostre azioni,ad esempio,io non sarei e non mi comporterei così,se nel mio passato non fossero accadute determinate cose...
Alla fin fine la clonazione,così intesa,sarebbe possibile,certo bisognerebbe dire che questo essere identico ad un altro,avrebbe in più un cervello dotato di un micro-chip,che contiene l'insieme delle informazioni sulla vita di un altro essere umano,permettendogli a questo clone di agire e pensare come l'altro,o riferendomi al caso di prima,di pensare ed agire come me,il mio clone.
Certo bisognerebbe vedere come il cervello manipola i dati che riceve dal chip,e se questo clone sia in grado di condurre una vita autonoma e simile alla mia(non dico identica,perchè dovrebbe vivere sempre con me,in ogni istante,per pensare e agire come me,perchè in quell'istante potrebbe accadere qualcosa che mi cambi radicalmente).
Intanto tranquillizzo Tommy e tutti gli altri:non ho intenzione di farmi clonare,perchè come potrei sopportare un'altra come me,se già non mi sopporto?

Non sarai mai felice se continui a cercare in che cosa consista la felicità.
Non vivrai mai se stai cercando il significato della vita. (Camus)
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


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Inserito il - 07/07/2004 : 17:44:49  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:

una identica a me,in tutto per tutto,questo clone poi potrebbe persino pensare ed agire come me,grazie al fatto che il suo cervello venga munito di un chip,contenente una serie di informazioni sulla mia vita passata,ciò che ho fatto nel passato,la mia memoria,perchè è proprio il nostro vissuto che determina le nostre azioni,ad esempio,io non sarei e non mi comporterei così,se nel mio passato non fossero accadute determinate cose...
perchè dovrebbe vivere sempre con me,in ogni istante,per pensare e agire come me,perchè in quell'istante potrebbe accadere qualcosa che mi cambi radicalmente).



Nell’intervista ho cercato di argomentare che proprio questo è impossibile perché –anche nell’ipotesi del tutto improbabile che l’intera memoria sia registrabile in un chip- la mente umana non si limita al cervello ma investe l’intero corpo, lo spazio in cui si è immersi, le relazioni vissute, il tempo scandito e pulsante dei giorni. Nessun chip (attualmente pensabile) potrebbe racchiudere tutto questo. Ripeto: si può clonare il DNA ma non il tempo incarnato in cui una mente consiste.
Tu stessa, giustamente, aggiungi che questo clone non sarebbe identico

quote:

perchè dovrebbe vivere sempre con me,in ogni istante,per pensare e agire come me,perchè in quell'istante potrebbe accadere qualcosa che mi cambi radicalmente).



e con questo confermi che si può forse clonare il Körper (la corporeità puramente organica) ma non il Leib (la corporeità integrale, aperta al mondo, fatta di temporalità).

agb
verso la luce -l'ultimo tuo movimento;
un giubilo di conoscenza -l'ultimo tuo accento
(Nietzsche)
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Azzurra
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Regione: Italia
Città: Catania


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Inserito il - 10/07/2004 : 15:47:07  Mostra Profilo Invia a Azzurra un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Nell'intervista intitolata "Memoria corporea" lei dice che la mente non è un oggetto, ma piuttosto un "evento". Mi chiedevo come mai ha scelto di utilizzare proprio questo termine, carico tra l'altro di implicazioni filosofiche, e non solo il termine "processo". E a questo proposito: si può in questo contesto considerare il termine "evento" in senso hiedeggeriano, ossia come "accadimento" in cui l'essere si dà, come apertura in cui l'essere si rivela (quindi come esattamente il contrario di "oggetto tra gli oggetti")?

Il vero viaggio di scoperta non consiste nello scoprire nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi (M.Proust)
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


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Inserito il - 10/07/2004 : 20:28:09  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:

Nell'intervista intitolata "Memoria corporea" lei dice che la mente non è un oggetto, ma piuttosto un "evento". Mi chiedevo come mai ha scelto di utilizzare proprio questo termine, carico tra l'altro di implicazioni filosofiche, e non solo il termine "processo".



Bellissima domanda. La lettura heideggeriana del termine evento è del tutto corretta. La motivazione principale per cui preferisco questo termine -e non "processo" o altri- sta comunque nel fatto che con "evento" vorrei suggerire fin da subito la dimensione temporale della nostra mente: non solo per il suo essere immersa nel tempo come un pesce nell'acqua ma per il suo costituire il tempo consapevole di se stesso, del suo essere, del suo fluire, del suo profondo radicarsi nella materia che è il nostro corpo.

agb
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Katherine
1° Livello


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Città: Giarre/Catania


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Inserito il - 10/07/2004 : 21:15:07  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Katherine Invia a Katherine un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:



e con questo confermi che si può forse clonare il Körper (la corporeità puramente organica) ma non il Leib (la corporeità integrale, aperta al mondo, fatta di temporalità).






Appunto,avevo detto già all'inizio che la clonazione di un essere umano non sarebbe possibile,si potrebbe solo creare un individuo che presenta le stesse caratteristiche fisiche di un altro,ma non clonare il suo modo di pensare,il suo comportamento,perchè siamo degli esseri gettati nel mondo,dei Dasein,come diceva Heidegger,l'essere umano è sempre immerso nel mondo,è sempre condizionato da diversi fattori:ambientali,culturali,ecc.,è l'esperienza che noi giorno per giorno abbiamo,che determina il nostro modo di pensare ed agire,e se anche un giorno sarà possibile collegare un micro-chip al cervello,che comunichi tutte le informazioni della vita di un altro individuo,in modo tale che il clone,avendo le informazioni della vita passata di un altro individuo si comporti nello stesso modo e inizi a pensare come l' ''originale'',la clonazione ugualmente non sarà realizzabile,perchè il clone vivrà una sua vita autonoma(è un suo diritto,essendo un essere vivente)e possibilmente vivrà in un tempo,in un periodo storico differente dall'originale. Sono felice che la clonazione vera e propria di un essere umano non sarà possibile, e poi ammesso che tutto ciò fosse stato possibile,che senso avrebbe creare un essere umano identico ad un altro?Sono della convinzione che il progresso e l'etica debbano andare di pari passo,l'etica non è un insieme di norme prefissate alle quali dobbiamo attenerci e subordinare ogni nostra scelta,ma l'etica è la capacità di trovare dei limiti nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un nuovo problema,l'etica dovrebbe mettere dei paletti,dei limiti,che non sono prefissati,cioè l'etica significa saper fondare nuovi limiti e principi in base ai nuovi problemi.E gli scienziati,nel momento in cui la loro ingagine va avanti,loro stessi dovrebbero porsi il problema di quali debbano essere i limiti e discuterne insieme ad altri per giungere ad una scelta collettiva.Ma intanto,chiediamoci anche noi se è giusto oppure no clonare un individuo(che avrebbe solo le fattezze fisiche di un altro)?Che senso avrebbe farla?

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Elgheb
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Città: Atollo 52


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Inserito il - 11/07/2004 : 16:43:36  Mostra Profilo Invia a Elgheb un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Leggendo l'intervista mi è balzata in testa la considerazione circa un post-umano la cui ibridazione cerebrale non fosse limitata al potenziamento della memoria ma di altre facoltà intelletive.
Mi chiedo se l'artificiosità parziale del cervello possa influenzare le azioni, il ragionamento o le immagini della memoria. In altri termini, è possibile che un chip che potenzi la memoria possa essere in grado di "selezionare" ciò che permane nel ricordo?

x Katherine: anche tu hai dato l'esame di bioetica, e hai studiato il libro di Pessina eh?!



Un mondo tanto semplice da essere compreso dai suoi abitanti, sarebbe troppo semplice per ospitare degli abitanti in grado di capirlo
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Katherine
1° Livello


Regione: Italia
Città: Giarre/Catania


84 Messaggi

Inserito il - 11/07/2004 : 21:27:33  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Katherine Invia a Katherine un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:



x Katherine: anche tu hai dato l'esame di bioetica, e hai studiato il libro di Pessina eh?!






Mi scuso con Pessina,per non averlo citato,ma sarà comunque felice nel sentire dire che questo lapsus è causato dal fatto che il suo pensiero è divenuto pure il mio,in conclusione:la penso come lui!E poi del resto,come si può notare,i miei interessi sono inerenti alla filosofia morale...e mi scuso con il prof.Biuso se vado oltre...

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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


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Inserito il - 15/07/2004 : 11:49:41  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:

Mi chiedo se l'artificiosità parziale del cervello possa influenzare le azioni, il ragionamento o le immagini della memoria. In altri termini, è possibile che un chip che potenzi la memoria possa essere in grado di "selezionare" ciò che permane nel ricordo?



Per Elgheb: se un chip si limita a potenziare le capacità già insite nella struttura cerebrale, ne conserva anche le caratteristiche, compresa la necessaria selettività della memoria. Necessaria per non diventare come l’Ireneo Funes del racconto di Borges: un uomo che «sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rìo Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho», una mente che «ricordava non solo ogni foglia di ogni albero di ogni montagna, ma anche ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata». Terribile!

Per Katherine: di che cosa ti scusi? Qui si va sempre oltre...

agb
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(Nietzsche)
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Sinclair
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Inserito il - 02/09/2004 : 18:48:22  Mostra Profilo Invia a Sinclair un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Cito dall’intervista intitolata Memoria Corporea: “la “coscienza” è, sempre, consapevolezza della propria collocazione spaziale e temporale. Cioè noi, come ci ha insegnato Kant, possiamo prescindere da un sacco di cose, ma non possiamo assolutamente prescindere dal fatto che ci collochiamo sempre in “un qui e ora” ed è per questo che la nostra coscienza è sempre, prima di tutto, coscienza temporale”.
A tal proposito volevo chiedere al prof. Biuso se la prospettiva che ci presenta, la teoria della mente come “tempo incarnato”, si può ricollegare alla riflessione kantiana, come si potrebbe dedurre dal passo citato, oppure se per certi versi si contrappone ad essa. Ossia se, nel dire “tempo”, si discosti dal modo kantiano di intendere tale concetto. Kant infatti, con il suo punto di vista trascendentale, considera il tempo come una forma a priori della sensibilità e, con la dottrina dello schematismo, come il medium tra la sensibilità e l’intelletto; egli quindi concepisce il tempo come una categoria esclusivamente gnoseologica e non come caratteristica ontologica degli enti in sé. Conseguentemente, anche se, a rigore, del noumeno non può dirsi nulla, sembra che secondo il ragionamento kantiano il noumeno sia sottratto al tempo, così come l’ ”io penso”, ossia la mente. Ma com’è concepibile l’attività sintetica ed unificatrice dell’ “ich denke” se questo è sottratto al tempo, poiché il tempo è solo una forma a priori della mente? E com’è concepibile il “darsi” del noumeno nella sensazione se la “cosa in sé” non è nel tempo? Quest’ultima è, se non erro, un’obiezione che rivolsero a Kant i primi critici e che condurrà all’idealismo. Quanto alla prima, vorrei capire se è questo tipo di obiezione -se si tratta di un obiezione legittima- che porterà successivamente a concezioni della mente che ne sottolineano la temporalità costitutiva, dall’intenzionalità di Brentano, alla fenomenologia, ad Heidegger fino alla sua tesi della mente come “grumo di tempo incarnato”. Alla base di esse c’è forse la constatazione della contraddittorietà della concezione kantiana del tempo, poiché rende insensata ogni altra caratterizzazione della mente, ed in primo luogo la stessa teoria kantiana dell’”io penso” come suprema attività unificatrice dell’intelletto (poiché “attività” vuol dire temporalità così come “intenzionalità”)? Oppure tale contraddizione che mi sembra di riscontrare nel criticismo in realtà non c’è? Forse distinguendo tra un “io penso” ed un “io empirico”, cioè tra la struttura mentale comune ad ogni uomo ed il singolo individuo concretamente esistente, tale apparente contraddizione scompare? Ma Kant opera tale distinzione?
Mi sembra che questa sia un’aporia simile a quella in cui forse incorre Agostino quando sostiene che Dio con la creazione del mondo crea anche il tempo, essendo Dio fuori del tempo; ma la creazione sottintende la temporalità e sembra al di fuori di essa inconcepibile! Il perenne conflitto nella storia della filosofia tra Parmenide ed Eraclito! La sostanza del discorso, scusate la prolissità, è che se è concepibile platonicamente l’esistenza di entità eterne ed immutabili che costituiscono il mondo della logica, non lo è invece la mente ed ogni sua proprietà. Pur avendo per oggetto entità sottratte al divenire, la mente è essenzialmente in divenire ossia la temporalità ne costituisce il senso, nell’accezione heideggeriana del termine, poiché ne rende possibile e comprensibile ogni aspetto. Per questo sembra insostenibile il kantismo, che concepisce il tempo come una forma a priori.
Ricollegandomi all intervento di Azzurra, mi chiedo se si può leggere in quest’ottica questo passo della tesi per la libera docenza che Heidegger scrisse nel 1916, Teoria delle categorie e del significato in Duns Scoto, che trovo citato nel mio manuale di liceo dove si dice che segna il distacco di Heidegger dal neokantismo: “Non si può vedere nella giusta luce la logica e i suoi problemi, se il contesto in base a cui essa viene considerata non diventa translogico. La filosofia non può, alla lunga, fare a meno dell’ottica che le è propria, e cioè della metafisica. Per la teoria della verità, ciò comporta il compito di una definitiva chiarificazione metafisico-teleologica della coscienza”. Mi sembra appunto che questo passo sottintenda una critica alla gnoseologia kantiana e al divieto criticistico rivolto alla metafisica; per Heidegger invece dall’ontologia non si può prescindere e ciò porta a rivedere il rapporto tra la mente ed il tempo. Adottando questo punto di vista infatti Heidegger, forse contro Kant, concluderà in Sein Und Zeit che il tempo non è una forma a priori attraverso cui la mente costituisce il mondo fenomenico, bensì è l’essenza del “dasein” stesso.
Spero di essere stato chiaro, di non aver posto una questione banale e di non avere commesso gravi errori nell’esaminare un problema così complesso.





Edited by - Sinclair on 23/09/2004 01:07:13
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Biuso
Amministratore

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Inserito il - 03/09/2004 : 10:47:40  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
L’intervento di Sinclair è molto interessante e pone questioni complesse ma, come sempre, cercherò di essere quanto più sintetico possibile. Con una premessa: quell’intervista –come tutto il mio lavoro- non ha l’obiettivo di proporre una ricostruzione storiografica (neppure quindi una discussione dei rapporti fra kantismo e heideggerismo) ma è un tentativo di pensare la cosa, in questo caso la memoria.

Entrando comunque nel dettaglio, lei scrive:

«egli quindi concepisce il tempo come una categoria esclusivamente gnoseologica e non come caratteristica ontologica degli enti in sé. Conseguentemente, anche se, a rigore, del noumeno non può dirsi nulla, sembra che secondo il ragionamento kantiano il noumeno sia sottratto al tempo, così come l’ ”io penso”, ossia la mente».

La prima parte dell’affermazione mi sembra plausibile ma non altrettanto ciò che lei ne fa conseguire. Del noumeno non può dirsi davvero nulla, essendo un concetto-limite, mentre dell’io-penso Kant non afferma l’extratemporalità ma anzi ne suggerisce la natura appunto temporale. Dire, infatti, che spazio e tempo sono forme a priori della sensibilità equivale in pratica a sostenere che la mente non può percepire, intuire, pensare e conoscere nulla se non in forma spazio-temporale.

Altra affermazione:

«Oppure tale contraddizione che mi sembra di riscontrare nel criticismo in realtà non c’è? Forse distinguendo tra un “io penso” ed un “io empirico”, cioè tra la struttura mentale comune ad ogni uomo ed il singolo individuo concretamente esistente, tale apparente contraddizione scompare? Ma Kant opera tale distinzione?»

Qui la risposta è: decisamente si. Uno dei fondamenti del criticisimo è, infatti, la distinzione fra l’io empirico (il soggetto, l’individuo, il singolo) e l’io trascendentale (da lei correttamente definito come « la struttura mentale comune ad ogni uomo»).
La questione, più in generale, è affrontata da Heidegger in un testo che certo non è immune da forzature ma che rappresenta anche una lettura assai stimolante di Kant. Si tratta di “Kant e il problema della metafisica”, tradotto in Italia da Laterza. Pubblicato nel 1929, il libro elabora l’interpretazione che avrebbe dovuto avere sede nella I sezione della seconda parte, mai scritta, di “Essere e tempo” (uscito due anni prima). Heidegger contesta –come lei ha giustamente detto- il neokantismo che ridurrebbe la “Critica della ragion pura” a una teoria della conoscenza scientifica, misconoscendone l’essenziale carattere metafisico. Infatti Heidegger non condivide l’interpretazione di Kant come distruttore della metafisica e accentua i caratteri ontologici del kantismo. Kant sarebbe colui che ha maggiormente e più profondamente indagato la finitezza del conoscere umano come espressione della radicale finitudine ontologica dell’esserci, dimostrata proprio dall’identificazione dell’ipseità col tempo. Ed è per questa ragione che Heidegger dà molto peso alle tesi kantiane sullo schematismo e sull’immaginazione trascendentale.
Insomma –per non farla troppo lunga e troppo tecnica- Heidegger cerca di fare del padre dello gnoseologismo moderno «un patrono del problema dell’essere» (testuale…), e dell’essere inteso proprio come temporalità della quale il mondo è intessuto e la coscienza è intrisa.

Un accenno infine ad Agostino. Lei scrive:

«Mi sembra che questa sia un’aporia simile a quella in cui forse incorre Agostino quando sostiene che Dio con la creazione del mondo crea anche il tempo, essendo Dio fuori del tempo; ma la creazione sottintende la temporalità e sembra al di fuori di essa inconcepibile!»

Qui il mio disaccordo è netto. Il discorso agostiniano sul tempo e sulla sua consustanzialità col mondo non mi sembra aporetico proprio perché la temporalità è movimento, materia, divenire e vita mentre il divino è sovratemporale per definizione, anche se da esso il tempo può scaturire come la luce dalle reazioni termonucleari del Sole. Senza il mondo il tempo non è concepibile, e viceversa. Ecco perché mondo e tempo sono scaturiti insieme. E questo vale anche ponendosi fuori dal discorso creazionistico cristiano. Anzi, in questo caso diventa ancora più vero. Di quella verità intuita dai Greci che fecero di Kronos –generato dal reciproco movimento di Urano/Cielo e Gea/Terra- il fondamento di tutto, l’essenza dell’Intero. La mente umana è questo intero che cerca di autocomprendersi.

agb
...ma è il Desiderio il vero timoniere.
(Nonno di Panopoli)
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Sinclair
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Inserito il - 04/09/2004 : 20:21:34  Mostra Profilo Invia a Sinclair un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ero consapevole di proporre un tema complesso ed anche sicuro di essere in qualche punto contraddetto, data la mia conoscenza sicuramente non esaustiva degli argomenti che ho esposto. Spero comunque di non andare off-topic sollevando queste questioni.
Per quanto riguarda il rapporto tra Kant ed Heidegger, pensavo che quest’ultimo nel discutere la “questione dell’essere” si contrapponesse a Kant, considerando la sua filosofia come una tappa fondamentale della metafisica ontoteologica. È interessante invece scoprire che, nel testo segnalato dal prof. Biuso, Heidegger considera Kant come un “patrono del problema dell’essere”.

Quote: << Del noumeno non può dirsi davvero nulla, essendo un concetto-limite, mentre dell’io-penso Kant non afferma l’extratemporalità ma anzi ne suggerisce la natura appunto temporale. Dire, infatti, che spazio e tempo sono forme a priori della sensibilità equivale in pratica a sostenere che la mente non può percepire, intuire, pensare e conoscere nulla se non in forma spazio-temporale>>.
Però se è vero che Kant ha sottolineato con forza l’intrascendibilità del tempo nell’ambito della conoscenza fenomenica, egli ha anche sviluppato, nella dialettica trascendentale, una critica della psicologia razionale o metafisica il cui esito prevede che “noi non possiamo conoscere l’io qual è in se stesso, ovvero l’io noumenico, ma solo l’io quale appare a noi stessi attraverso le forme a priori, ossia l’io fenomenico”-cito dalla Storia della Filosofia di N. Abbagnano. Quindi sembra che anche a proposito dell’io noumenico -cioè della mente?- per Kant non può dirsi nulla così come della “cosa in sé” in generale. Soprattutto non si può attribuire sostanzialità all’io penso poiché quella di sostanza è una categoria che ha validità solo nell’ambito fenomenico, e ciò mette in discussione l’idea di anima. Ma lo stesso non vale per il tempo, anch’esso forma a priori? -Forse stò ponendo una questione ingenua, anche perché non si riesce assolutamente a concepire una mente che non sia nel tempo, ma resta il fatto che per Kant il tempo, in quanto forma a priori, non è una caratteristica degli enti se non in relazione al soggetto conoscente. Quindi per Kant non è possibile un’ontologia della mente? In questo senso mi sembrava che Heidegger vada oltre Kant quando afferma che l’Esserci è tempo, poiché questa è un’asserzione che concerne l’ontologia. Forse però sono rimasto fermo ad una semplicistica interpretazione del pensiero di Kant come di una radicale critica alla possibilità della metafisica come scienza -il Kant “distruttore della metafisica”. Se Heidegger, in Kant e il problema della metafisica, sviluppa un’interpretazione della Critica della ragion pura che “accentua i caratteri ontologici del kantismo”, forse lo fa tenendo conto anche delle altre due “critiche”? Forse sottolineando quello che Kant definisce “primato della ragion pratica” è possibile procedere oltre i limiti imposti dalla dialettica trascendentale ed ammettere quindi libertà e finalità? E sostenere quindi la temporalità dell’io noumenico? Ma per Kant questi non rimangono postulati della ragion pratica? Forse Heidegger ritiene che il passaggio dalla gnoseologia criticistica all’ontologia sia un suo sviluppo necessario, come ritennero gli idealisti; ciò vuol dire non fermarsi ad una concezione della mente rinchiusa nell’ambito fenomenico ma considerarne l’ontologia. Anche la nozione d’intenzionalità, fondamentale in filosofia della mente a partire da Brentano, non è strettamente legata a quelle di libertà e finalità? Essa è quindi, oltre il criticismo, un concetto che concerne l’ontologia della mente, mentre per Kant rimane un postulato dell’etica.

Per quanto riguarda il mio azzardato tentativo di rintracciare un’aporia nel discorso di Agostino sulla creazione, mi sembra però che tale problema sia stato più volte evidenziato nella storia della filosofia riguardo varie dottrine a proposito delle quali si riproponeva un problema risalente al dissidio tra Parmenide ed Eraclito. Ad esempio in Spinoza, che non spiega come dalla definizione della sostanza possano scaturire la molteplicità e il divenire, che egli è costretto a constatare per via empirica. Una critica di questo genere viene mossa da Hegel a Schelling, che con la sua concezione dell’Assoluto come unità indifferenziata e statica non riesce a spiegare, a differenza di Fichte, la molteplicità e il divenire. Per questo il panlogismo hegeliano si fonda sulla dialettica e concepisce l’Idea non come una sostanza statica ma come un soggetto spirituale in divenire. Di fronte a tali obiezioni, infatti, Schelling pervenne in una seconda fase del suo pensiero alla teoria del “Dio che diviene”. Riflettendo sulle difficoltà insite nel teismo creazionista e nell’emanazionismo nel far derivare il mondo da un Dio concepito come statica perfezione, egli rivide la definizione di Dio, concepito ora come una realtà in divenire, sede di una contrapposizione dialettica di contrari. Quindi un Dio che è nel tempo.

Quote<>.

Nel paragone addotto sia la luce sia le reazioni termonucleari del sole si svolgono nel tempo. Però tra la nozione di Dio come realtà sovratemporale e quella del mondo come realtà in divenire sembra ci sia un’antitesi incolmabile, soprattutto dal punto di vista del creazionismo. Come può Dio creare il mondo se non è nel tempo? Il verbo “creare” presuppone un prima e un dopo. È appunto per un motivo simile che Aristotele perviene alla sua concezione della divinità che, in quanto motore immobile ed atto puro, non può muovere come causa efficiente ma solo come causa finale.
L’alternativa è nell’ammettere, come il prof. Biuso ha scritto, che il tempo è “il fondamento di tutto, l’essenza dell’Intero”, e che non esista un essere che sia sottratto al tempo, poiché il tempo è l’essere stesso. È questo forse il senso della dottrina heideggeriana dell’essere come “evento”, contrapposta alle filosofie che hanno concepito l’essere come una “semplice presenza”, mentre la temporalità rappresenta “l’orizzonte possibile di ogni comprensione dell’essere in generale”.
Probabilmente in questi ragionamenti ho commesso molti errori, spero che altri evidenziandoli mi permettano di fugare i molti dubbi che ho a riguardo.




Edited by - Sinclair on 25/09/2004 19:24:24
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Biuso
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Inserito il - 06/09/2004 : 00:53:14  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:

Quindi sembra che anche a proposito dell’io noumenico -cioè della mente?- per Kant non può dirsi nulla così come della “cosa in sé” in generale. Soprattutto non si può attribuire sostanzialità all’io penso poiché quella di sostanza è una categoria che ha validità solo nell’ambito fenomenico, e ciò mette in discussione l’idea di anima. Ma lo stesso non vale per il tempo, anch’esso forma a priori?



Veramente, la psicologia razionale kantiana non identifica l’io noumenico con la mente ma si limita (per dir così…) a sostenere che l’anima di cui parla la filosofia classica non può essere identificata con una sostanza ma con un processo di natura, per l’appunto, temporale. In altri termini l’io non è una “res” ma uno “stream of consciousness”, una sorta di Proteo inafferrabile. Dell’io si può dire solo questo ma quello che si può dire lo chiamiamo –appunto- “mente”.


quote:

Se Heidegger, in Kant e il problema della metafisica, sviluppa un’interpretazione della Critica della ragion pura che “accentua i caratteri ontologici del kantismo”, forse lo fa tenendo conto anche delle altre due “critiche”? Forse sottolineando quello che Kant definisce “primato della ragion pratica” è possibile procedere oltre i limiti imposti dalla dialettica trascendentale ed ammettere quindi libertà e finalità?



Heidegger ha sempre presente la dimensione esistenziale (ma non nel senso dell’esistenzialismo!) della filosofia, il cui fine è comprendere la realtà quotidiana (e quindi anche l’etica). Qui però fa soprattutto riferimento alla prima edizione della “Ragion pura”, che Heidegger preferisce decisamente alla seconda. In quest’ultima, infatti, la logica trascendentale acquisterebbe un primato innaturale rispetto alla intuizione sensibile, la quale rimane l’autentico fondamento della conoscenza. E della conoscenza sensibile del mondo la temporalità è parte assolutamente fondamentale.
Sugli altri problemi che lei solleva –da Parmenide a Spinoza, dagli idealisti all’emanazionismo!- mi permetta di dire solo che bisogna fare molta attenzione a mettere insieme prospettive tanto complesse e tanto diverse. Su un forum non mi sogno neppure di affrontare questioni siffatte, per la semplice ragione che richiederebbero ciascuna un’analisi molto dettagliata, se non si vuole –ovviamente- procedere attraverso gli schemi più banalmente manualistici, e quindi rinunciare a capire davvero. La filosofia è un sapere rigoroso, che richiede metodo, tempo e argomentazioni molto articolate. E in Rete cerco di seguire (anche come moderatore) tre regole:

- bandire insulti, turpiloquio e volgarità;
- rimanere quanto più possibile in argomento, evitando l’off topic;
- scrivere testi assolutamente sintetici, anche a costo di rinunciare alla completezza e al necessario approfondimento.

Posso solo accennare a un’ultima questione da lei ribadita, perché assai più semplice:

quote:

Come può Dio creare il mondo se non è nel tempo? Il verbo “creare” presuppone un prima e un dopo. È appunto per un motivo simile che Aristotele perviene alla sua concezione della divinità che, in quanto motore immobile ed atto puro, non può muovere come causa efficiente ma solo come causa finale.



La prospettiva aristotelica e quella creazionistica sono incomparabili, oltre che incompatibili. Per Aristotele, come per tutti i Greci, la creazione ex nihilo risulta un concetto persino incomprensibile. Creare, invece, vuol dire proprio produrre il tempo dall’eternità e quindi creare non presuppone alcun tempo “prima” ma solo un tempo successivo, scaturito dalla creazione stessa
E per concludere davvero questa risposta (sempre parziale…) riporto qui le chiare ed efficaci parole scritte da una collega a proposito della dimensione temporale dell’esistenza:

«So che esiste un tempo, e questo tempo sono io, sono le mie idee, i miei giorni, e tutto quello che cammina e ruota e si scontra dentro di me. E tutto questo paradossalmente assomiglia all'eternità, ma non è atemporale. Perché il tempo è eterno. Quando si scende al fondo di se stessi e si trovano zone buie non si sente un'ora passare o un giorno o un anno. Non si festeggia il compleanno di un lutto elaborato, di un trauma irrisolto...non si spengono le candeline per ricordare quanto tempo è passato da quando l'avvoltoio ha cominciato a divorare un fegato che maledettamente si riforma. Perché anche quel tipo di fegato è senza tempo ma rappresenta un tempo che a noi fa comodo definire così: si consuma e ricresce. C'è un tempo che passa, che è un fluire, che spesso porta via qualcosa, ma non la inghiotte. I tempi sono solo come i punti cardinali, servono per orientarci, in fondo esiste solo il TEMPO».


agb
...ma è il Desiderio il vero timoniere.
(Nonno di Panopoli)
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Inserito il - 13/09/2004 : 23:14:19  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di utente non registrato Invia a utente non registrato un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Riuscivo a seguire all'inizio, ora siete entrati troppo nello specifico...
Non appartengo al vostro campo di studi ma cerco comunque di seguire con interesse finchè posso e se permettete vorrei chiarirmi le idee facendo un piccolo esempio e leggendo poi le vostre impressioni.
Ditemi pure se è banale ma ho appena finito di vedere una puntata di star trek e fantasticando sul teletrasporto...
Supponiamo che possa esistere una macchina che, partendo da un atomo "mattone" sia capace di ricostruire, sicuramente con una considerevole quantità di energia, altri atomi con livelli energetici, numero di particelle, spin, momento magnetico e tutto quello che caratterizza un atomo, nel modo da noi desiderato.
Supponiamo poi che esista un altra macchina che sia capace di leggere e incamerare le stesse informazioni di ogni singolo atomo di ogni singola molecola dell'intero corpo umano.
Certo, immagino che non basterebbe di sicuro la memoria di tutti i pc sulla terra per fare questo.
Immagino pure che nessuna delle due macchine sarà facilmente realizzata, non ho idea se ci siano e quali siano i limiti fisici che lo impedirebbero.
Ora mi viene in mente che le mie fantasie non sono affatto originali, vedi "L'ESPERIMENTO DEL DOTTOR K" o "LA MOSCA", ma non è importante.
Quello a cui volevo arrivare è... a cosa volevo arrivare?
Ah, si... In questo caso si manterrebbe la memoria, della mente o del corpo, la sensazione di tempo trascorso e tutto il resto?
E supponendo che siano fatte più copie della stessa persona, queste si comporteranno esattamente allo stesso modo dall'istante in cui saranno riprodotte?
E se si, per quanto tempo?
E se no, perchè?

______
pomo.recondito@tiscali.it
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Sinclair
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Inserito il - 22/09/2004 : 23:49:14  Mostra Profilo Invia a Sinclair un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Mi sa che ho trasgredito due delle tre regole elencate dal prof., mancava solo il turpiloquio! Rileggendo i miei interventi mi rendo conto di essermi lasciato andare in ragionamenti che forse danno un’impressione di scarso rigore. Non volevo certo intraprendere un dibattito sulle questioni cui ho accennato, ma allora mi rendo conto che non aveva senso accennarvi. Ed è vero che non ha senso mettere insieme con temerari voli pindarici dottrine così diverse e complesse se non si può argomentare a sufficienza sui motivi di tali accostamenti, considerando anche che le mie conoscenze al momento vanno difficilmente oltre gli “schemi più banalmente manualistici”, soprattutto sulle questioni non affrontate nei corsi universitari; questo nonostante io cerchi continuamente di espandere ed approfondire le mie conoscenze.
Comunque, grazie alle delucidazioni del prof. Biuso, credo (spero!) di aver capito meglio la “filosofia della mente” kantiana, che si riduce alla considerazione dell’io-penso, l’io fenomenico, come principio esclusivamente formale del conoscere. E che l’io-penso sia, evidentemente, un processo di natura temporale, Kant lo sostiene esplicitamente. Nel manuale di N. Abbagnano, l’unica fonte delle mie conoscenze al momento su questo tema, vi trovo scritto in riferimento alla dottrina dello schematismo: “se il tempo condiziona gli oggetti, l’intelletto, condizionando il tempo, condizionerà gli oggetti”, e “gli schemi trascendentali sono le regole attraverso cui l’intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri concetti a priori”. Credo di aver frainteso sinora queste affermazioni, che mi sembrava potessero affermare in qualche modo l’extratemporalità dell’intelletto (anche se ciò è assolutamente inconcepibile). Come bisogna intendere l’affermazione “l’intelletto condiziona il tempo”? Sembra diverso dal dire “la mente è un processo temporale”, poiché sembra separare l’intelletto dal tempo, il condizionante dal condizionato, anche se il “condizionare” è un’attività che non può che svolgersi nel tempo. Ora credo invece che possa essere tranquillamente inteso in altro modo; cioè: nell’ambito fenomenico, l’io-penso è un processo temporale, uno “stream of consciousness”, che a sua volta si esplica condizionando il tempo (cioè le intuizioni sensibili che vengono così schematizzate).
Ad ogni modo, i miei dubbi sorgevano soprattutto dal non identificare “ciò che chiamiamo mente” solo con l’io fenomenico, cioè dal voler discutere dell’inconoscibile io noumenico e di una sua supposta essenza temporale. Per Kant la mente è l’io-penso, stop. Cercando di giustificare il sorgere dei miei dubbi a riguardo ( ma sarò giustificabile?), riporto un’affermazione che trovo in Introduzione alla filosofia della mente, di M. Di Francesco, nella nota 10 a pag. 72: “Va detto che talvolta Kant sembra “giocare con l’idea” che il soggetto trascendentale sia un’entità noumenale a noi non accessibile in modo diretto (cfr. P.Strawson, 1966, pp 157 ss.). L’unità dell’appercezione ci darebbe una via d’accesso al soggetto in sé”. Comunque, la vera soluzione ad ogni dubbio sarebbe quella di leggere direttamente la Ragion Pura, cosa che in effetti dovrei fare al più presto. Mi chiedo se, pur sbagliandomi, le mie riflessioni e le mie perplessità erano fondate oppure ho scritto solo un mucchio di idiozie.




Edited by - Sinclair on 23/09/2004 01:09:47
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Sinclair
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Inserito il - 22/09/2004 : 23:51:51  Mostra Profilo Invia a Sinclair un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Per Chevalier: Pur non avendo molto tempo per ragionarci su, cerco di rispondere al tuo intervento, che mi sembra molto interessante; l’argomento che proponi è tutt’altro che banale, anzi è molto probabilmente un esperimento mentale su cui altri hanno già riflettuto. Ne ricordo vagamente uno apparentemente simile che parla della sostituzione progressiva di tutti i neuroni con sostituti di silicio, su cui teorizzano estropiani e movimenti simili, che ne auspicano addirittura la realizzazione in futuro. È simile al discorso che faceva Katherine sul clone dotato di un microchip. Il professor Biuso rispondeva che: “anche nell’ipotesi del tutto improbabile che l’intera memoria sia registrabile in un chip- la mente umana non si limita al cervello ma investe l’intero corpo, lo spazio in cui si è immersi, le relazioni vissute, il tempo scandito e pulsante dei giorni”
L’esperimento che tu proponi però mi sembra diverso, perché non parli di clonazione ma di una sorta di “fotocopiatura” dell’intero corpo. A parte il fatto che un operazione di questo tipo sembra in effetti impossibile da effettuare, da un punto di vista esclusivamente teorico mi sembra che sollevi delle importanti questioni. Tu domandi: “In questo caso si manterrebbe la memoria, della mente o del corpo, la sensazione di tempo trascorso e tutto il resto?” La risposta a questa domanda varia a seconda della prospettiva entro cui ci si colloca per rispondere. Ma mi sembra che posta in questi termini renda irrilevanti le differenze, pur notevoli, tra le varie forme di materialismo (non solo riduzionista o eliminativista). Dal funzionalismo al connessionismo fino alla “new embodied cognitive science”, il presupposto di queste teorie è sempre il rifiuto del dualismo ontologico. Esse differiscono poi nello specifico modo di intendere la mente, cioè nella scelta del livello specifico in cui essa si può rintracciare nel suo emergere dalla materia. Non sono in grado di entrare nel merito della tecnica da te ipotizzata per ricostruire un corpo atomo per atomo, mi sembra comunque molto poco plausibile un’operazione del genere. Ciò non toglie che resta comunque ipotizzabile un’operazione di trasferimento di una mente, una volta che si è riconosciuto a quale livello essa si colloca, copiando in qualche modo le caratteristiche materiali che ne sono alla base. Se il funzionalista mirerà alla riproduzione del “software”, un connessionista cercherà di riprodurre le reti neurali, un neuroscienziato il cervello in ogni suo aspetto ed un teorico della “nuova scienza cognitiva” magari l’intero corpo. Collocandosi in quest’ottica quindi, la “fotocopiatura” produrrebbe un individuo identico all’originale indifferentemente dal fatto che si ritenga che l’essenza di un uomo sia nella mente intesa nel senso del funzionalismo (il software), o nel cervello oppure nell’intero corpo vissuto.
Oppure, mi chiedo, quest’ultima concezione porta a conseguenze diverse dalle altre due? A questo punto chiederei al prof. Biuso: la “memoria corporea” verrebbe riprodotta identica con un’operazione del genere? Comunque vengano immagazzinate nel corpo umano le informazioni che poi costituiscono la memoria e quindi l’identità di un uomo, l’ipotetica “ricostruzione” di cui parla Chevalier non dovrebbe conservarle? Solo dal punto di vista del dualismo ontologico si potrebbe sostenere forse qualcosa di diverso, ad esempio che la “fotocopia” sarebbe in realtà solo un essere inanimato (una res extensa senza res cogitans!). Oppure l’identificazione tra mente e corpo come temporalità vissuta ha come conseguenza l’impossibilità di ricreare un individuo poiché si tratterebbe comunque di altra materia, quindi altro “tempo incarnato”? In effetti è forse questa la conseguenza di quello che il prof. dice nell’intervista su “Memoria Corporea”: “Tu infatti puoi trasportare al massimo qualche ricordo neuronale ma non puoi trasportare quello che sei, cioè il tuo corpo, che è memoria continuamente aggiornata del suo essere in atto”. Qui però non si tratterebbe di trasportare informazioni su un chip ma addirittura di ricreare un essere umano identico all’originale, partendo da materia da plasmare copiando un modello. E forse quindi la risposta è la stessa che il prof. ha dato al giornalista nella suddetta intervista: “Ma quanto stai dicendo che cosa significa? Significa che se io produco qualcosa che ha tutte le caratteristiche di memoria corporea, fisica, di coscienza, di intenzionalità, di tempo, dell’essere umano, io ho prodotto un essere umano. Lo diceva già Leibniz quando parlava degli “indiscernibili”: se due cose non si distinguono in niente, evidentemente sono la stessa cosa”.

Quote: “E supponendo che siano fatte più copie della stessa persona, queste si comporteranno esattamente allo stesso modo dall'istante in cui saranno riprodotte?”.
Se si ritiene che il comportamento di un individuo è fortemente condizionato sia dalle esperienze passate che da caratteri innati, il comportamento dei due individui dovrebbe essere all’inizio molto simile. Ma sarebbe identico? Da un punto di vista fisicalistico, se si considerano meccanicismo e determinismo come dottrine ad esso necessariamente correlate (ma non è detto, vedi la fisica quantistica…), bisogna concludere che il comportamento sarebbe identico (anche se in pratica il semplice fatto di non poter occupare lo stesso luogo nello spazio innescherebbe delle catene causali diverse e porterebbe le due esistenze a differenziarsi). Se si crede invece nella libertà umana, allora i due farebbero man mano delle scelte diverse e le loro vite prenderebbero magari strade totalmente diverse. Al di là del fantasioso esperimento mentale, tutto ciò fa riflettere con gli esistenzialisti sulla libertà umana e la scelta tra le infinite possibilità dell’esistenza. Se molte delle scelte che un individuo compie nella vita seguono quasi necessariamente dal carattere e dalle esperienze vissute, molte altre sono le scelte sofferte, che devono comunque essere fatte e che ciascuno fa senza che la decisione sia predeterminata. E cosa vieta allora alla “fotocopia” di scegliere diversamente? Bel rompicapo! Ogni qualvolta si sceglie, qualunque cosa, si potrebbe pensare all’ipotetico gemello-fotocopia che prende un’altra strada! (Mi scuso in anticipo, forse ho divagato di nuovo!).



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