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Filosofessa
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Inserito il - 30/12/2006 : 14:19:14
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Oggi, 30 Dicembre 2006, è stato giustiziato Saddam Hussein. Non voglio giudicare in merito al fatto se meritava o no di essere punito, per tutto ciò che ha fatto, per il suo operato; la mia è una riflessione sulla pena di morte, sull’appropriatezza o meno di questa sadica, medioevale, quasi barbarica usanza. Nessun uomo dovrebbe mai essere punito così, neppure il più efferato. Ne faranno un martire, dicono, e forse è vero ma la mia considerazione nasce e si conclude intorno al senso di questa morte, al simbolo di questa oscena pagina di storia che ancora un volta ci dimostra quanto sia lontano il cammino della civiltà; la domanda che nasce spontanea è: che cosa è la democrazia?
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Biuso
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Inserito il - 30/12/2006 : 16:58:23
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Su www.girodivite.it ho tentato di rispondere anche alla sua domanda. La morte di Saddam Hussein è un avvenimento che conferma l’acutezza delle analisi di Carl Schmitt e di Platone.
L’articolo si intitola La Grande Faida dei petrolieri texani.
agb «Stare sulla croce del tempo, là dove fiorisce la sua rosa» (E.Mazzarella)
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DonBudgetBozzo
Nuovo Utente
10 Messaggi |
Inserito il - 30/12/2006 : 19:57:04
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La morte di Saddam Hussein è stata sicuramente qualcosa di orribile. Piuttosto che interrogarsi su cosa non abbiano fatto gli USA io però mi interrogherei su cosa abbia fatto l'Europa. Da questo punto di vista della responsabilità per questa condanna a morte credo possa essere investita anche la Francia e chiunque a suo tempo abbia borbottato contro la Costituzione Europea. Ahimé si riscoprono comunisti tra quelli che qualche decennio addietro erano l'irrisione dell'intera Internazionale Comunista. Non vale la pena lanciare anatemi contro la superpotenza beandosi dell'impotenza a cui siamo ridotti... L'esecuzione di Saddam Hussein ha assunto dei tratti estremamente tragici non perché abbia sancito il diritto del più forte (cosa avvenuta sistematicamente nel corso della Storia: Mussolini dice niente?) ma perché avvenuta all'interno di un contesto globalizzato, sancendo l'umiliazione di uno dei grandi protagonisti: la succitata UE, per l'appunto...
Ciao.
«Non è peccato essere omosessuali, è peccato l'atto omosessuale» (DonGianniBudgetBozzo) |
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Biuso
Amministratore
    
Città: Catania/Milano
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Inserito il - 31/12/2006 : 17:26:11
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L’articolo è stato tradotto e pubblicato in francese sulla Rivista La sociale.
agb «Stare sulla croce del tempo, là dove fiorisce la sua rosa» (E.Mazzarella)
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Biuso
Amministratore
    
Città: Catania/Milano
2900 Messaggi |
Inserito il - 04/01/2007 : 13:43:00
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Dalla Stampa del 2 gennaio scorso, leggo questo articolo di Gianni Vattimo, che mi sembra molto interessante.
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L'esecuzione della condanna a morte contro Saddam Hussein è stata certamente una violazione dei diritti umani - non la prima né l'ultima perpetrata dalla coalizione dei «volonterosi» che occupano l'Iraq dopo una guerra di conquista iniziata sulla base di informazioni menzognere e per motivi che hanno assai poco da fare con la difesa della democrazia. Quasi nessuno dubita che Saddam meritasse la condanna; e anche la condanna a morte, per i delitti commessi quando governava il suo Paese con la forza di un regime militare spietato - e per altro ben accetto ai suoi carnefici di oggi, che forse anche per evitare di affrontare le proprie responsabilità hanno preferito farlo tacere per sempre.
Ma tra le tante voci che si sono levate a deplorare l'esecuzione del tiranno - quali in nome della sacrosanta opposizione alla pena di morte; quali in nome delle palesi irregolarità procedurali che hanno segnato il processo; quali in nome di una considerazione di opportunità e di realismo politico (abbiamo regalato un martire al terrorismo islamico) - pochi hanno richiamato l'attenzione su quello che è invece secondo noi, il tratto più scandaloso di tutta la vicenda, cioè il fatto che la condanna di Saddam è un tipico esempio di «Giustizia dei vincitori», ossia di pura e semplice sopraffazione del vinto da parte di coloro che lo hanno sconfitto con le armi e che vogliono dare alla propria vittoria l'apparenza di un trionfo del bene sul male. Quelli che hanno salutato come una «pietra miliare» l'esecuzione dell'altro ieri non mancano di buone ragioni. Saddam era stato un tiranno sanguinario, meritava la massima pena: anche se ci sono state tante irregolarità formali nel processo, l'esito è comunque «giusto» - corrisponde cioè a quel senso di equità per cui tutti desideriamo che la violenza arbitraria contro persone inermi e innocenti non rimanga senza una punizione adeguata.
Ma proprio la stessa esigenza di equità che motiva coloro che, almeno in buona fede, non si rattristano troppo della fine di Saddam, dovrebbe spingere a riflettere più a fondo sulle ragioni della «giustizia dei vincitori». Se non si fa attenzione a questo aspetto, alla fine è solo perché non si vuole revocare in dubbio quello che possiamo chiamare lo «spirito di Norimberga». Chi solleva il dubbio sulla legittimità di quelle condanne - pronunciate da un tribunale «alleato» in base a leggi che non erano quelle vigenti in Germania all'epoca dei fatti - viene considerato più o meno un nostalgico fascista con pericolose tendenze al negazionismo. Eppure proprio la sinistra dovrebbe essere sensibile a questi problemi. Non solo la tragica fine di Saddam, ma anzitutto lo stesso diritto alla «guerra preventiva» in difesa delle libertà della democrazia che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno proclamato e praticato negli ultimi anni sono frutto dello spirito di Norimberga: per il quale «noi» siamo i buoni difensori del diritto di tutti - anche degli iracheni, eventualmente anche dei palestinesi moderati che non accettano il governo di Hamas, pure eletto democraticamente - e abbiamo il diritto anzi il dovere di intervenire con ingerenza umanitaria, laddove dove questi diritti ci appaiono violati.
Come è possibile perseguire - a livello privato e a livello internazionale - la giustizia senza pensare che «Dio è con noi»? Forse il tanto vituperato sistema di Westfalia - quello che escludeva ogni diritto di ingerenza negli affari interni di un altro Paese - non era poi così imperfetto. Oggi noi siamo carnefici e vittime insieme in un sistema che afferma l'universalità dei diritti quasi solo per giustificare un rinnovato imperialismo. Vediamo tutti in che stato è ridotta l'Onu. Finché non si riuscirà a costruire un sistema di giustizia internazionale esplicitamente stipulato e regolato, saremo sempre esposti alle pretese di chi, soprattutto quando vince, crede di poter parlare in nome di Dio.
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Sul tema della giustizia dei vincitori e della guerra santa, consiglio lo splendido e recente libro di James Hillman Un terribile amore per la guerra, Adelphi 2005, nel quale lo studioso statunitense scrive che:
«La violenza mondiale dipende in gran parte dalla nostra, perché gli Stati Uniti sono gli armaioli del mondo» (pag. 159);
«Per quella superpotenza (non sappiamo se destinata a durare e per quanto) che gli Stati Uniti sono diventati, è facile scimmiottare l'imperialismo di Luigi XIV e di Federico di Prussia e di tutti gli altri Grandi di quel periodo; ma è evidente che ad essa manca del tutto la straordinaria potenza della cultura estetica che quei sovrani promossero, al punto che, sotto questo profilo, gli Stati Uniti sembrano oggi dei minorati, se non dei poveri ritardati» (pagg. 208-209);
«È come se la nazione nel suo insieme fosse immune alla cultura, vaccinata come contro uno scherzo di natura, una malattia della decadenza, una corruzione dei valori profondi del popolo americano: la fede religiosa nel binomio Dio e America, in marcia sotto la bandiera, con il Minuteman armato di moschetto, verso un futuro luminoso, contro tutti i nemici, contro tutti: tutti nemici» (pag. 215).
agb «Stare sulla croce del tempo, là dove fiorisce la sua rosa» (E.Mazzarella)
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Stanley
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Regione: Italia
Città: Valguarnera
184 Messaggi |
Inserito il - 12/01/2007 : 15:23:39
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Riporto qui un'inquietante citazione da un articolo di Don Baget Bozzo apparso su Panorama della scorsa settimana.Il titolo(che la dice già abbastanza lunga) è :Ma la pena era giusta
"Di fronte ale morti sarebbe stato paradossale che l'unico ad essere impunibile con la morte fosse colui che era la causa di tutte le altre. Quando la tirannia diventa strage,evidentemente ci si trova di fronte a colpe che riguardano un regime e non uno stato.La colpa si impersona in coloro che hanno diretto tale stato.Vi è qui come un diritto naturale alla punizone collettiva che trascende la vita dell'individuo: quindi è possibile la pena di morte."(i corsivi sono miei)
Resto allibito e senza parole.
Stanley |
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Cateno
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Città: Regalbuto
169 Messaggi |
Inserito il - 12/01/2007 : 19:15:30
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quote: Resto allibito e senza parole.
Andate su www.ragionpolitica.it Poi cliccate su "I catechismi" di Don Bozzo! Scusate l'OT ma non ho saputo resistere!
Finché non lo fai tuo,/ questo "muori e diventa",/ non sei che uno straniero ottenebrato/ sopra la terra scura. (J. W. Goethe) |
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giofilo
2° Livello
 

Regione: Jamaica
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176 Messaggi |
Inserito il - 12/01/2007 : 21:43:17
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Sul mio blog ho provato a spiegarmi la pena di morte come "falsa eutanasia", il link è questo: http://www.giofilo.it/archives/21 , ma inserisco anche qui il mio piccolo intervento:
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Ieri la simpatica (anche se non sempre) Littizzetto, mentre si rivolgeva al suo “Eminems” alias il Cardinale Ruini, ha detto una frase ad effetto: “mi sembra che voi [la chiesa], più che contro la pena di morte, siate a favore della pena di vita”. Un ottimo modo per unire i due avvenimenti che hanno segnato la fine del 2006 e l’inizio del nuovo anno: da una parte l’uccisione di Saddam Hussein, dall’altra la (non buona) morte di Piergiorgio Welby.
Su entrambi i casi la chiesa si è comportata “maluccio”…diciamo pure che si è comportata in modo menefreghista per Hussein ed in modo schifoso per Welby. Ma non m’interessa più di tanto.
Cosa può unire questi due eventi drammatici, al di là della loro drammaticità? Il fatto che entrambi parlano di “eutanasia”.
Nel primo caso, quello di Hussein, è una “falsa eutanasia”: hanno cercato di convincerci che quello che si è eliminato è un virus che, se avesse continuato a vivere, avrebbe ancora infettato l’organismo-società, che così bisognava fare ed andava fatto. Un’ideologia figlia (peraltro illeggittima) della peggiore eutanasia nazista e che si ripete ognivolta che negli Usa e in altri luoghi del mondo si uccide per legittimo diritto.
Welby richiede invece espressamente l’eutanasia, il desiderio insopprimibile della propria morte, che non gli viene concessa. Questa sarebbe stata vera eutanasia, in quanto decisione personale e (magari!) indiscutibile.
Passiamo quindi da una pena di morte ad una pena di vita. Non è incredibile? In un caso abbiamo l’eutanasia negativa, in quanto inflitta come una pena; nel secondo caso abbiamo una mancata eutanasia positiva, perchè negata al singolo individuo.
In un senso o in un altro, lo Stato (che in questi casi è sempre un Leviatano, sia esso una dittatura o un’imperfetta democrazia) si appropria della vita individuale (bìos), utilizzando contro di essa la forza come un diritto.
A termine di questa mia piccola riflessione (spero sia corretta, se per qualcuno non lo fosse me lo dica!), posso concludere che: l’eutanasia deve diventare un diritto inviolabile del singolo individuo, esercitabile solo ed esclusivamente su se stesso.
Giofilo - Sitosophia |
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