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Biuso
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Inserito il - 03/12/2005 : 15:08:45  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Il tema centrale del numero di novembre-dicembre di Mente & Cervello è costituito dalle dimensioni psicologiche e neurologiche del sentimento religioso.




Particolarmente interessanti sono le tesi di Vilayanur Ramachandran, un neurologo indiano che è direttore del Centro per la mente e le scienze cognitive dell’Università di San Diego in California. Nel 1997 Ramachandran affermò di aver identificato il luogo cerebrale dell’esperienza mistica nel lobo temporale. Un altro ricercatore, Dean Hamer, ha confermato che «una variante del gene VMAT2, che codifica per una proteina di trasporto delle monoamine, sembra direttamente legata ai valori più alti della trascendenza». La conclusione di Hamer è sorprendentemente vicina alle tesi di Locke che nella Lettera sulla tolleranza escludeva gli atei dalla tolleranza stessa. Infatti, «in base agli studi di Hamer, gli atei sarebbero degli “handicappati genetici”, poiché questo gene sarebbe stato selezionato e trasmesso lungo l’evoluzione in quanto favorevole allo sviluppo di una società serena e collaborativa» (p. 59).

Ramachandran ha inoltre identificato una molteplicità di sé che operano all’interno di quella struttura unitaria che chiamiamo il nostro io e che sarebbe una sorta di velo di Maya. In realtà, afferma questo scienziato, «siamo parti di un unico universo, di un flusso di eventi, e quando riusciamo ad abbandonare l’illusione di essere un’anima indipendente, allora comprendiamo di essere parte del Cosmo, parte di Dio, parte della Natura, e questa è l’esperienza religiosa più estrema. Gli induisti dicono che quando ciò accade “si alza il velo di Maya”» e quando accade questo «non hai più paura della tua morte personale, perché la persona non esiste. Come puoi avere paura di annullarti se sei materialmente una parte di Dio?» (pp. 58-59).

Altri ricercatori dell’Università di Pavia hanno scoperto che recitare il rosario –ma solo in latino!- permette di abbassare il ritmo del respiro a una frequenza che favorisce la migliore ossigenazione del sangue e una diminuzione della pressione arteriosa. Non a caso il rosario fu introdotto dai Crociati, che imitarono la collana di preghiera islamica, a sua volta importata dai monaci tibetani e dai maestri yoga.

A proposito di miracoli e affini, Voltaire si chiedeva «perché vediamo un miracolo in una statuetta che lacrima, e non in un cielo stellato»; in ogni caso –ed è l’ennesima prova dell’unità psicosomatica che siamo- «lo studio dell’interazione tra psiche, sistema immunitario e sistema endocrino sta già fornendo qualche risposta in merito» anche alla dimensione religiosa dell’umano (p. 69).

Fra gli altri testi, mi sono sembrati interessanti quelli dedicati alle reazioni delle vittime di fatti criminali (sindrome di Stoccolma compresa), al sentimento del rimpianto, al problema se la coscienza sia un flusso ininterrotto di immagini o una serie di fotogrammi che scorrono ad alta velocità. Un articolo affronta il problema degli anosmici, di coloro –cioè- che hanno perduto il senso dell’olfatto. Una deprivazione grave, come sa qualunque lettore di Proust. Gli odori, infatti, «risvegliano i ricordi. Senza odori resteremmo privi della chiave per accedere a una parte della nostra storia» (p. 99).


agb
«Vorrei togliere al mondo il suo carattere straziante»
(Nietzsche)
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