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Biuso
Amministratore
Città: Catania/Milano
2900 Messaggi |
Inserito il - 18/11/2004 : 16:11:14
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Un villaggio della Pennsylvania di fine Ottocento vive isolato e tranquillo poiché fra esso e la città c’è un bosco abitato dalle “creature innominabili” e un patto fa sì che ciascuno rimanga nei propri confini. Fino a quando la necessità di trovare delle medicine per il proprio fidanzato aggredito, indurrà una ragazza cieca a chiedere agli anziani della comunità il permesso di attraversare il bosco…con esiti certo imprevedibili.
Il film è ben raccontato ma forse anche troppo patinato e con qualche incongruenza nella sceneggiatura. La sorpresa finale c’è -e da alcuni è stata interpretata anche in chiave politica come metafora dell’isolamento degli Usa- e il risultato è certo interessante ma forse niente di più.
agb Sono figlio della Terra e del Cielo stellato (Lamina orfica di Hipponion)
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eva
Nuovo Utente
Città: siracusa
13 Messaggi |
Inserito il - 18/11/2004 : 23:38:18
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Non posso essere d’accordo… Il film merita, per tanti motivi, primo fra tutti la regia di Manoj Night Shyamalan : raffinata , delicata e precisa nei movimenti, nella scelta dei movimenti, nella fotografia, assolutamente complice della trama, con la sua luce “oscura” che dipinge questo villaggio irreale totalmente calato nella sua “realtà”. Voglio dire la mia prima impressione, durante, e soprattutto a fine film. Non è una chiave di lettura “strettamente” politica: è più generale e, in fondo, particolare. The village: Covington. Se non si uscisse mai…nessuno, nemmeno la ragazza ( cieca, appunto) troverebbe nel suo immaginario – discreto e ottocentesco- un riferimento dove collocarsi diverso da quello che già ha. E questo non è solo un discorso tra stati, tra politiche , tra interessi e isolazionismi in genere che riguardano “ la società” ( anche all’interno di una sola famiglia può valere lo stesso discorso). È anche - e prima di tutto – interno alle menti. Le emozioni di chi crede (il ragazzo ferito, la ragazza cieca) sono genuinamente autentici… …fa paura?- mi sono chiesta. Assolutamente no. L’unico che ha capito tutto era l’unico che non sarebbe stato creduto, l’unico che non poteva sopravvivere.
Night Shyamalan spia come spiamo noi ( il suo volto è riflesso nella pellicola, mentre chi fa il suo lavoro semplicemente fa il suo lavoro, cioè quello in cui crede). Ci lascia questo fra le labbra di chi sta “dentro”: "A volte ci sono gesti che non facciamo perché gli altri non capiscano che è a loro che vogliamo farli."
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sara
Nuovo Utente
31 Messaggi |
Inserito il - 19/11/2004 : 00:23:03
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Allora: intanto lo stile mi assomigliava a quello di Dogville(questa sara' una fesseria grandissima ma io la scrivo lo stesso).
Poi: il film e' tutta una metafora dall'inizio alla fine.Sta ad indicare,secondo me,il fatto che gli stupidi vivano meglio (ovviamente......sono stupidi!).
"La paura busso' alla porta.Il coraggio ando' ad aprire,e non trovo' nessuno".
Questa frase si intona adeguatamente con l'atmosfera del film.
Si e' tanto parlato del terrore in cui vive la popolazione statunitense in questi anni,anche Cabin Fever esprime benissimo questo concetto,pero'c'e' una differenza fondamentale:il concetto di auto-distruzione a cui questo stato di cose portera' in The village non e' espresso in modo piu' velato.
Pensandoci bene auto-conservazione e auto-distruzione della societa' moderna sono concetti che molto si avvicinano fino a confondersi.
(scusate se ho scritto tutte queste sciocchezze)
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eva
Nuovo Utente
Città: siracusa
13 Messaggi |
Inserito il - 19/11/2004 : 01:10:00
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Un’ultima nota sul personaggio che muore. Era il “diverso”: e non per niente impersonifica (cioè letteralmente “veste i panni”) delle “presenze oscure” che imprigionano il villaggio nella sua autarchia referenziale. La ragazza nemmeno sa di aver ucciso proprio lui. Nemmeno vede i “confini” che separano-uniscono la sua vita a ogni possibile forma di diversità di concepirla. Un modo di vedere è anche un modo di non vedere, diceva Marx. La sfera cosiddetta “privata”, anche questo è un modo, il solo modo attraverso cui i nostri occhi “filtrano” per noi la nostra intenzionalità. Ecco il senso della frase: "A volte ci sono gesti che non facciamo perché gli altri non capiscano che è a loro che vogliamo farli." Esiste una teoria fisica ben precisa a riguardo: la teoria del “punto cieco”. Ripeto: vale la pena di vederlo il film!
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