Pirru
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Inserito il - 07/08/2004 : 04:48:20
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Ieri notte a quest'ora, su espresso e nel contempo tacito (e anche un po' inconsapevole) sollecito di Alice, mi trastullavo durante la visione de "Il silenzio degli innocenti".
Che dire... le premesse di cui disponevo erano scarne e poco certe, conoscevo a stento la trama del film e parte della mentalità di Hannibal Lecter. L'occhio con cui ho guardato il film ha deciso di prestare attenzione esclusivamente all'aspetto psicologico, lasciando all'altro occhio, più assonato, lo studio delle trovate registiche.
Subito una positivissima impressione, ai primi minuti di recitazione di Jodie Foster; davvero interessante la sua trasformazione espressiva in base agli interlocutori e agli eventi con cui interagisce. Interazione che, a due passi da Lecter, pare tramutarsi in cooperazione, sorretta da una dimensione a cavallo tra l'onirico e il troppo reale.
Qualche cenno appreso dopo la visione: Il primo episodio della trilogia ispirata ai romanzi di Thomas Harris arriva sul grande schermo grazie a Michael Mann, che affida il ruolo di Lecter a Brian Cox. "Manhunter" - questo il nome del film - si propone di annotare, a quanto leggo, come fosse uno psicologo di celluloide; nessuna pretesa di sentenziare. Cox, contrario ai sequel, rifiutò la parte ne Il silenzio degli innocenti, spianando la strada a quello che sarebbe dovuto essere regista e protagonista dell'episodio: Gene Hackman. Al suo rifiuto ne seguirono altri, che culminarono poi nella poco fiduciosa scelta di Anthony Hopkins, l'unico ad accettare (con grande fortuna di tutti noi, aggiungerei). Da questa scelta dipenderanno moltissimi interventi di regia, come ad esempio la totale concentrazione della fisicità di Hannibal sugli occhi, simbolo della sua logica pacata e fluttuante, e sulle labbra, simbolo del contatto tra causa ed effetto, foce e delta del suo cannibalismo "d'autore". Anche il nome della Foster non era in cima alla lista. Prima di lei, dissero di no Michelle Pfeiffer e Meg Ryan. Jodie, entusiasta fin dall'inizio nel proporsi per il ruolo di Clarice, viene accolta, come Hopkins, con molta perplessità. Da parte sua, invece, viene fuori un'interpetazione non a caso da Oscar, ben corroborata dall'angoscia a fior di pelle che funge da repellente a qualsiasi ostacolo le si trovi di fronte, che sia di natura "buona" o "malvagia". Che, come insegna Lecter, non sono altro che la stessa cosa, desiderata con occhi diversi.
"Desideriamo ciò che vediamo", sibila laconicamente il Dottore. Lo sibila per tutto il film, stuzzicando stabilmente i padiglioni di Clarice, quasi rintronandola. La Foster scopre pian piano che, per far zittire quel ronzìo, quel nuovo, ficcante guaire degli agnellini, non deve sentirsi al servizio di alcuna causa. Il caso è risolto dall'espressione massima, nella mente di Starling, di intuizione e percezione. Ovvero la non-intuizione e la non-percezione. Clarice uccide Buffalo Bill al buio, dopo aver sostituito il nervosismo col terrore ed esser stata sfiorata - sotto forma di aria a pochi centimetri dal proprio viso - dalle mani di lui. Il suo intelletto è bloccato, così come i suoi sensi. Tutto va a confluire dentro di lei, per poi esplodere, drasticamente, nel "tic" del grilletto della Buffalo Gun. Chi è? Intuizione -> Buffalo Bill. Dov'è? Percezione -> Di fronte a te. Entrambi le dicono "sparagli". Altro elemento chiave in questo senso: la consegna del questionario da Lecter a Starling; intuizione -> la risposta sta nel questionario, percezione -> la domanda sta nel contatto tra le mani dei due, ovvero nella trasposizione della sinergia di pensiero che porterà la Foster a citofonare a casa del giulivo stilista.
Al Dottor Hannibal Lecter ho subito affibbiato una serie di riflessioni... il gioco di parole Hannibal the Cannibal è chiaro, mentre Lecter mi ha fatto pensare a più possibili interpetazioni. La prima è stata l'associazione di Lecter a richiami nell'ambito letterario, alle numerose, velate citazioni, alla chiara forma mentis colta dell'uomo e all'interesse per tutto ciò che è artistico, creativo, insolito, fine a se stesso nel momento in cui assume una nuova forma. Dinamico solo mentre si trasforma, mentre si evolve, mentre assorbe l'essenza di chi lo crea. Esempio: servirsi di un taglierino per staccare la faccia del vigilantes e farne una maschera. Poi farne un'identità, una vita. Poi, farne nuovamente uno strumento. Utilità sequenzialmente limitate dalla forma che in quel momento hanno per il loro "artista". La faccia del poliziotto non aveva alcun senso, per Lecter, fino al momento in cui diventa prodotto di un meccanismo.
Mi accorgo di aver scritto troppo, che il mattino bussa alla porta... e giacché ha anche l'oro in bocca, meglio toglierglielo dalle fauci e sostituirlo con una bella granita mandorla e cioccolato. Mangiarla alle 5 è un'emozione irripetibile... provatela!
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Quando la parola si farà corpo e il corpo aprirà la bocca e pronuncerà la parola che l'ha creato, abbraccerò questo corpo e lo adagerò al mio fianco.
(David Grossman - Che tu sia per me il coltello)
Modificato da - Pirru il 07/08/2004 04:58:21
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