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Inserito il - 06/07/2007 : 16:18:59
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Jean Cocteau (1889-1963) LE TESTAMENT D’ORPHÉE Con Jean Cocteau, Eduard Dermit, Maria Casarès, Jean Marais Francia, 1959-60
Orfeo è una delle espressioni più chiare del desiderio di sconfiggere la morte, il cinema è –per Cocteau- «la morte all’opera», è lo specchio che mescola realtà e irrealtà. Il risultato è un film colmo di bellezza, di profondità e di grazia, nel quale le metafore, i racconti (mythoi), la pienezza che rende ogni scena necessaria e nello stesso tempo lievissima, si condensano nel simbolo di un fiore che nasce, appassisce e rinasce.
Pensato come conclusione di una trilogia che comprende Le sang d’un poète (1930) e Orphée (1950), ne Il testamento Cocteau ha immesso una quantità straordinaria di riferimenti alle culture antiche e contemporanee (da Edipo a “quale orrore!” di Conrad, dai centauri a Kafka –Il Processo, Davanti alla legge-, da Tristano e Isotta alla Teoria della relatività…) ma tutto viene rivissuto come per la prima volta dallo sguardo che il Poeta rivolge al tempo, al suo tornare, alla morte e al permanere. Se l’imputato è accusato di essere innocente e gli viene comminata la pena di vivere, il gioco dell’esistenza si svela nella sua effimera eternità e l’arte costituisce «una macchina per fabbricare significati», secondo un’altra definizione che Cocteau dà del cinema. E dunque la scena centrale di questo capolavoro lieve del genio è quella in cui il Poeta morto dice: «Fate finta di piangere, amici miei, perché i poeti fanno solo finta di essere morti».
agb «Un tempo fui fanciullo, e poi ancora fanciullo, e fui arbusto ed uccello, e muto pesce che guizza nell'acqua» (Empedocle, DK 68 B 117)
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