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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


2900 Messaggi

Inserito il - 23/06/2007 : 14:28:12  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Sulla ml del didaweb leggo, tra l’altro, il seguente racconto, a firma di Antonia Belletti:

«Un piccolo episodio capitato a me personalmente:

un mio alunno di seconda superiore, uno che notoriamente trascorre più tempo in giro per i corridoi che in classe, una mattina non è venuto a scuola per recarsi al cinema alla visione di un film dedicato ad altre classi. Si è autogiustificato scrivendo sul registro di classe “l’alunno tal dei tali è autorizzato a recarsi….. e pertanto la sua assenza è giustificata”. Non c’era firma per cui mi viene il sospetto che il ragazzino stesso ne fosse l’autore. Chiedo al vice preside e ai colleghi che confermano il mio sospetto.

Ritengo che la cosa sia abbastanza grave da prendere un provvedimento, magari anche blando ma tale da far capire al ragazzo e alla classe che è grave scrivere su un documento ufficiale della scuola senza averne l’autorizzazione. Comincio con una robusta lavata di capo al ragazzo stesso, in attesa di qualche altro provvedimento un po’ più ufficiale. Sia il vicepreside che la coordinatrice di classe non condividono la mia posizione, perché “è vero che…ma è un ragazzo che è stato adottato (quando aveva pochi anni) e quindi bisogna capirlo. Al ragazzo viene detto soltanto di non farlo più, per cui lui viene da me e mi dice che io ho esagerato che anche il vice-preside e la coordinatrice sono d’accordo con lui e che sono io ad essere troppo severa.

Il mio concetto di “educare” è poco condiviso. Che fare? A volte dissento dai colleghi, altre volte lascio perdere. Non vedo, almeno nella mia esperienza, un progetto didattico condiviso»

Ho aggiunto questo breve commento:

«Un episodio come quello raccontato da Antonia è più significativo di tante inchieste, commenti, chiacchiere. La scuola in Italia ma probabilmente nell’intero Occidente non esiste più se intesa come trasmissione non solo di (poche...) conoscenze ma anche e soprattutto come luogo di apprendimento esistenziale dei comportamenti minimi condivisi. L'Istituzione è morta ma essa -la scuola- vive ancora dove (e solo dove) la persona del docente ha ancora passione e competenza, dove questa persona è esigente prima di tutto con se stessa e poi con tutti gli altri.

Per il resto, è rimasta la Grande Farsa, della quale gli attuali inquilini di Viale Trastevere -ministri, sottoministre che scelgono Dante (ottimo!) per un tema d'esame e poi commettono errori tali da dover revocare loro il diploma..., funzionari, sindacalisti e scagnozzi vari- costituiscono i roboanti e ridicoli protagonisti.

La Scuola siamo noi, colleghi, non dimentichiamolo mai»


agb
«Per realitatem et perfectionem idem intelligo» (Spinoza, Ethica, parte seconda, VI definizione)

Katherine
1° Livello


Regione: Italia
Città: Giarre/Catania


84 Messaggi

Inserito il - 30/06/2007 : 14:54:40  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Katherine Invia a Katherine un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Quel che manca oggi è il rispetto non solo verso gli altri ma verso se stessi,questo è ciò che un insegnante deve insegnare ai ragazzi di oggi.
Condivido il suo pensiero,prof.Biuso!

"Devi tornare ad apprezzare la semplicita'. Non si puo' dare valore e importanza solo ai grandi eventi della vita. Bisogna sapere vedere la bellezza che c'e' anche nelle piccole cose. E' questo che ti fa sentire speciale, felice."
Sergio Bambarèn
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


2900 Messaggi

Inserito il - 02/07/2007 : 16:14:30  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Un articolo di Francesco Merlo sulla *Repubblica* del 28 giugno mi sembra che individui perfettamente la responsabilità prima dell'episodio palermitano ma soprattutto una delle ragioni fondamentali della fine della scuola in Italia: l'eccesso di identificazione dei genitori con i figli, la difesa a ogni costo delle loro azioni, il vecchio "familismo amorale" insomma, la maledizione del mammismo italico, le frustrazioni di genitori che effettivamente mancano (sono deficienti) di una loro identità e quindi scaricano tutto sulla prole rendendola intoccabile da chiunque stia fuori del nucleo familiare.

Giustamente, Merlo accenna a "tutti quelli che nella diversità sessuale vedono crimini", ai santificatori della famiglia monogamica ed eterosessuale, a quel luogo dentro il quale -non a caso- si moltiplicano i più efferati delitti, perché è tale famiglia a essere in gran parte contronatura quando è fondata solo sulle leggi, sulla costrizione, sul pregiudizio, sull'ipocrisia e non sul libero affetto tra le persone.


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Assolta la professoressa che punì lo studente bullo
Palermo, gli fece scrivere cento volte: "Sono un deficiente"


di Francesco Merlo, 28 Giugno 2007


È una sentenza esemplare che sarebbe addirittura perfetta se, chiudendo con l'assoluzione il processo alla professoressa, ne avesse aperto un altro a carico del padre del bullo, educatore diseducativo che ha dato, a nessun titolo se non le sue nari, della "cogliona" all'encomiabile insegnante che aveva punito suo figlio: insegnante di lettere, di umanesimo e di buone maniere. È infatti il padre che andava e andrebbe processato, è lui il principale responsabile delle deficienze del figlio deficiente.

Ed è facile immaginarlo a Palermo questo padre "masculu" che pretendeva un risarcimento di venticinquemila euro, un ovvio personaggio di quell'universo ridicolizzato da Brancati: « ‘A ttia ti dissi deficiente? A me figghiu? Dammi il quaderno ché rispondo io alla tua maestra». E scrisse: «Non solo mio figlio non è un deficiente, ma lei è una cogliona». Attenzione però: non è Palermo che ha prodotto l'apparente eccezionalità del caso. In tutta Italia infatti le istanze familistiche – la difesa del figlio nostro, u figghiu miu, a creatura, il piccinin, er pischello, il toso – hanno ormai il sopravvento sulle prerogative istituzionali della scuola, sulla formazione del cittadino. Saggiamente infatti la sentenza di Palermo ricorda il terribile caso del ragazzo suicida a Torino perché trattato da omosessuale, maltrattato da un branco di deficienti che diventano, senza capirlo e senza volerlo, per ignoranza e per deficienza appunto, una banda di assassini, di istigatori al suicidio.

Dunque, secondo il giudice, e anche secondo noi, il giovanissimo bullo che, nelle mille varianti del dialetto palermitano, ha dato del frocio al suo compagno e gli ha impedito di entrare nel bagno dei maschi, andava proprio punito ed è stato un atto educativo per tutta la classe oltre che per lui, un addestramento alla responsabilità, l'averlo costretto a riflettere sulle sue deficienze etico-categoriali, scrivendo cento volte «sono un deficiente». E tuttavia almeno quel bullo ha le attenuanti dell'età
immatura. Non hanno invece attenuanti nella loro fosca responsabilità gli
adulti: i genitori, innanzitutto, che si compiacciono del figlio "malandrino", e non capiscono che la scuola è un'opportunità formativa di gran lunga superiore a quella offerta dalla famiglia e dalla strada. Sono loro che, dinanzi alla punizione del figlio, reagiscono da superbulli fabbricatori di bulli. E invece dovrebbero arretrare, cedere il passo, consegnare il figlio all'insegnante.

Un tempo era riconosciuto il diritto alla punizione dello scolaro, si aveva fiducia nella qualità dell?insegnante, e anche gli aristocratici mandavano i figli a scuola con la convinzione di trovarvi un assemblaggio di strumenti, uomini e opportunità educativi e formativi che in casa, nonostante l'agio, non c'erano. E la punizione di copiare cento volte una frase educativa sul quaderno scolastico si chiama "penso" ed è un'antica, cardinale istituzione della scuola, fatta non solo di bullismo, di parole in libertà, di gite, di baby parking, ma anche di compiti a casa, di interrogazioni, di rimproveri e di "penso". Ricordo di avere scritto per cento volte su un quaderno nero «non dirò mai più "piccolo babbeo" al mio compagno Gulizia».

E ricordo anche che mio padre, convocato a scuola, si mise a dare fin troppo ragione all'insegnante, accusandomi più di quanto non avesse fatto il professore, il quale, a un certo punto, fu costretto a difendere me, il
deficiente: «Non esageriamo, il ragazzo vale». Qui, al contrario, in un processo che non si doveva proprio celebrare con quell'imputata, si volevano far passare per categorie nobili, forti e civili la schiuma della sozzura e i preconcetti sul sesso. E' purtroppo vero che la responsabilità non è solo del padre che, comunque, andrebbe punito da un tribunale di Stato. C'è anche la responsabilità di altri adulti, parlamentari, uomini politici, altri professori, altri giudici e anche uomini di chiesa. Non solo il padre dunque, ma tutti quelli che nella diversità sessuale vedono crimini, depravazioni, abnormità e mostruosità naturali, vizi dell'anima, e magari anche l'assenza di Dio. Tanti in Italia dovrebbero scrivere, cento o mille volte, sul quaderno nero «sono un deficiente». E la parola giusta è proprio deficiente, che viene da deficio, indica un deficit, un buco di bilancio, un vuoto di testa, un conto in rosso, una vacanza di educazione sessuale e dunque di intelligenza della complessità della sessualità.

Ecco perché questa sentenza è un'assoluzione con l'encomio per avere commesso un fatto che non solo non è un delitto, ma è il suo contrario: è una buona azione, una di quelle rare e sorprendenti in questo parcheggio sfasciato che è la scuola italiana. Nelle sue otto pagine dattiloscritte il giudice di Palermo scrive anche che l'ordinamento italiano non prevede adeguate punizioni per quel bullismo che offende la sfera sessuale. Più propriamente, la scuola italiana di oggi non è attrezzata a liberare i figli dal familismo, dal mammismo, dai padri malandrini che esclamano offesi: «a mme figghiu!». Perciò forse la sentenza si può riassumere così: lasciate che la scuola difenda i figli dai loro genitori.


agb
«Un tempo fui fanciullo, e poi ancora fanciullo, e fui arbusto ed uccello, e muto pesce che guizza nell'acqua» (Empedocle, DK 68 B 117)
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