Biuso
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Inserito il - 07/02/2007 : 15:14:58
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La informatissima rivista presenta nel 2007 due novità: - l’uscita mensile e non più solo bimestrale, segno evidente del successo di pubblico; - la grafica della copertina che privilegia in modo netto la Mente rispetto al Cervello…
E tuttavia gli articoli di questo numero 26 mostrano sia l’importanza centrale della dimensione cerebrale che la sua inseparabilità da ciò che chiamiamo mentale. Tra i numerosi testi di notevole interesse, quattro mi sembrano molto importanti proprio perché coniugano in modo strettissimo - su temi di grande rilevanza- i due aspetti della natura umana.
A cominciare da un’ottima sintesi (di David Dobbs) sui neuroni specchio scoperti dal gruppo di ricerca di Giacomo Rizzolatti a Parma. Si tratta di cellule cerebrali che «si attivano non solo quando eseguiamo una particolare azione, ma anche quando osserviamo altri compierla». Tali cellule «rendono possibile la comprensione del prossimo, il complesso scambio di idee che definiamo cultura», tanto che il loro malfunzionamento sta probabilmente alla base di patologie come l’assenza di empatia e l’autismo. Non solo: i neuroni specchio sono strettamente correlati a questioni filosofiche e fenomenologiche fondamentali come il significato e il linguaggio. Infatti essi servono «per imparare tutto: dai primi sorrisi ai primi passi, dalle espressioni più dolci alle movenze più aggraziate. Ma li usiamo anche per dare a tutto ciò la giusta valutazione, per percepire il significato di un sorriso o per godere l’emozione di un gesto sportivo compiuto dal nostro atleta preferito»; e, appunto, anche «il linguaggio nascerebbe dalla comprensione sintattica generata da questi neuroni». Infatti, «se ascoltiamo frasi che descrivono azioni si attivano gli stessi neuroni specchio: come se quelle azioni fossimo noi a eseguirle o a vederle eseguire. Le cellule rispondevano a una rappresentazione astratta di un processo». Metafisica e semantica, insomma, abitano nelle cellule!
I neuroni specchio attivano anche la violenza imitativa (come quella innescata dai videogiochi o da film molto violenti), che quindi diventa assai difficile da sradicare. E alla violenza è dedicato un altro articolo che dimostra l’illusorietà del libero arbitrio. Il caso di C., un tranquillo genitore quarantenne, è significativo. Questa persona si lasciò andare a comportamenti pedofili tanto da costringere la moglie a denunciarlo e a mandarlo via di casa. Una trasformazione inspiegabile fino a quando si scoprì che C. aveva un «grosso tumore della fossa cranica anteriore che spostava e comprimeva il lobo frontale destro». Asportato il tumore, sparirono anche i comportamenti pedofili. «Che fine fa il libero arbitrio, se un’alterazione chimica nel cervello può trasformare un santo in un criminale?» Il neuroscienziato Steve Rose risponde che viviamo «sull’interfaccia di molteplici determinismi». E la lucidità di Spinoza gli fece scrivere che un criminale non diventa meno pericoloso per il fatto di essere necessariamente criminale. Bisogna oltrepassare la morale di impianto biblico e tornare a quella greca, separando la pena dalla colpa e ancorandola –invece- al danno effettivo che un’azione (libera o necessaria che sia) produce.
Un comportamento opposto (almeno sembra…) alla violenza è l’innamorarsi. Ma anche questo sentimento ha un evidente fondamento neurobiologico, con particolare coinvolgimento dei neurotrasmettitori. Sono ormai numerosi gli studi che dimostrano come «una quantità minore di serotonina provoca la comparsa dei sintomi della passione amorosa», così come l’euforia dell’innamoramento è prodotta da una elevata quantità di dopamina. Alcuni mesi fa avevo letto un saggio dedicato allo stesso tema sulla rivista Archiv of Sexual Behavior, nel quale il gruppo di lavoro guidato da Helen Fisher (un’autorità in materia) sostiene che l’innamorarsi è dovuto –appunto- a «livelli elevati di dopamina e norepinefrina e bassi livelli di serotonina» (vol. 31, n. 5, October 2002, pag. 417); su un’altra rivista specializzata –Psychoneuroendocrnology- si sostiene che l’«innamorarsi può essere visto come un’emozione di base simile all’ansia o alla paura, dovuta all’attivazione dell’amigdala e dei relativi circuiti e neurotrasmettitori» (n. 31, 2006, pag. 289, autori E. Emanuele ed altri). La domanda, ovvia, è: ci si innamora perché diminuisce la presenza di alcuni neurotrasmettitori o tale diminuzione è una conseguenza dell’evento costituito dall’innamorarsi? Gli studi empirici e quantitativi dedicati a questo decisivo fenomeno non rispondono programmaticamente a simili domande e quindi si limitano tutti al come dell’evento senza arrivare al livello del perché. Ed è qui che appare necessario il contributo della filosofia della mente.
Infine, Helen Mayberg ha scoperto che la depressione –un autentico flagello mondiale che non colpisce solo i Paesi più ricchi- affonda in una zona profonda della corteccia cerebrale, chiamata «area 25» la quale è più attiva nelle persone depresse, come se essa fosse «un cancello lasciato aperto, che permette alle emozioni negative di sommergere il pensiero e l’umore». La Mayberg e i suoi collaboratori hanno inserito in quest’area una coppia di elettrodi collegata a un pacemaker sotto la clavicola, che funziona come un sistema di chiusura di quel “cancello”. «I risultati erano sbalorditivi. Non appena Lozano attivava gli elettrodi, alcuni pazienti provavano una profonda sensazione di sollievo, e nel giro di pochi mesi due terzi di essi avevano ripreso un umore e una funzionalità quasi normali»
Questo dimostra non solo la radicale fisicità dei sentimenti ma -come Damasio di continuo ribadisce- il fatto che «ragione e passione, pensiero ed emozione sono legati in un circuito, non in una gerarchia». La depressione ha quindi un fondamento neurologico, che le situazioni ambientali –certo- favoriscono oppure ostacolano e che può essere curato e modificato in modo addirittura chirurgico. Sostengo da tempo che il triplice cerchio concentrico della mente sia formato dall’encefalo, dal corpo e dall’ambiente nel quale encefali e corpi si muovono, agiscono, vivono. E sostengo anche che dalla ibridazione con apparati come pacemaker, elettrodi, chip, potremo sperare in una mente più serena, perché –appunto- «corpo noi siamo in tutto e per tutto» (Nietzsche).
agb «La Luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta» (Jeshu-ha-Notzri. Gv, 1,5; 3,19)
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