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 Mente&Cervello n.23
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Stanley
2° Livello


Regione: Italia
Città: Valguarnera


184 Messaggi

Inserito il - 20/09/2006 : 13:57:33  Mostra Profilo Invia a Stanley un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
In questo interessantissimo numero ci sono molte informazioni sugli argomenti trattati durante il corso.In primo luogo l'empatia e la sua correlazione con i neuroni specchio e non solo;in secondo luogo una dettagliata descrizione sulla funzione e sui possibili svilluppi degli endocannabinoidi.In più si possono trovare alcune news sulla memoria(ad esempio come il cervello memorizzi meglio dinanzi ad una novità)e un articolo su Kandel,uno studioso premio nobel nel 2000 proprio per i suoi studi sulla memoria.Insomma,un numero davvero ricco e pertinente con i temi trattati quest'anno.

Stanley

Modificato da - stanley il 21/09/2006 14:00:10

Stanley
2° Livello


Regione: Italia
Città: Valguarnera


184 Messaggi

Inserito il - 21/09/2006 : 16:24:07  Mostra Profilo Invia a Stanley un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Leggo e riporto:

La proteina che cancella i ricordi

Si chiama proteinchinasi M zeta (PKMzeta) e la sua funzione è consolidare e conservare la memoria. Lo hanno scoperto alcuni ricercatori della State Univeristy di New York,dimostrando anche che inibendo quella proteina è possibile cancellare parti della memoria a lungo termine "proprio come si cancella un hard disk". Il tutto senza compromettere le capacità di apprendere o acquisire nuovi ricordi una volta sospesa l'inibizione della proteina. Di fatto,finora i ricercatori sono riusciti a cancellare la memoria di eventi risalentia un mese prima della somministrazione dell'inibitore.La scoperta potrebbe essere utile nel trattamento di disordini caratterizzati da un eccessivo rafforzamento delle connessioni sinaptiche che memorizzano gli eventi,dalla sindrome dell'arto fantasma,al dolore neuropatico,fino alla sindrome da stress post-traumatico. L'identificazione del meccanismo molecolare che presiedealla formazione e al consolidamento delle tracce mnemoniche può peraltro essere utile anche allo scopo inverso: la scoperta può indirizzare la ricerca farmacologica verso molecole che consentano ai pazienti sofferenti di patologie che impediscono la formazione di nuove memorie a lungo termine(come i malati di Alzheimer)di consolidare connessioni sinaptiche eccessivamente labili.


Stanley
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


2900 Messaggi

Inserito il - 12/10/2006 : 18:24:08  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando



È vero, il numero 23 di M&C affronta tematiche delle quali ci siamo occupati anche a lezione, a cui si aggiungono molti altri argomenti interessanti.

Per il premio Nobel Eric R. Kandel la “nuova scienza” è la «biologia mentale» fondata sul principio che «ogni funzione mentale del cervello (…) è eseguita da circuiti neurali specializzati che hanno sede in differenti regioni cerebrali» e che «sono costituiti dalle stesse unità elementari di trasmissione dei segnali, le cellule nervose» (pag. 68). Comprendere la memoria implica, pertanto, la conoscenza delle reti neurali.

Anche una delle news è dedicata alla memoria e, come più volte è stato accennato in questo forum, alla possibilità di dimenticare i ricordi più dolorosi e traumatici mediante l’inibizione della proteina (PKMzeta) di cui parla il testo riportato da Stanley. Ma per terapie che si avvicinino anche lontanamente al Se mi lasci, ti cancello, la strada è ancora molto, molto lunga (e forse per fortuna).

Poter dimenticare servirebbe soprattutto a guarire dai gravissimi traumi generati dalle guerre. In Irak si sta registrando la più alta percentuale di suicidi dei Paesi islamici. Colpiti sono soprattutto i bambini: «forme di autismo e chiusura in se stessi, difficoltà di apprendimento, sfiducia nel futuro e depressioni anche gravi caratterizzano lo sviluppo dei piccoli che hanno assistito alla violenza o peggio alla morte di amici e familiari» (45). In generale, «la guerra non finisce mai. Né per chi la fa né per chi la subisce» (40). Ragione per non cominciarla proprio.

Ad aiutare tutti noi nei momenti di difficoltà provvedono gli endocannabinoidi che il nostro cervello sintetizza per proteggere i neuroni dalla iperattività (vere e proprie tempeste neuronali) conseguente a situazioni di sofferenza acuta. È interessante che «non siano gli endocannabinoidi a simulare gli effetti della marijuana, ma è quest’ultima che imita l’azione chimica degli endocannabinoidi nel cervello» (26). Numerosi Paesi utilizzano la marijuana a scopi terapeutici. In Italia, invece, la legge approvata nello scorso febbraio dalla maggioranza berlusconiana nega qualunque valore terapeutico a questa sostanza, dichiarandola sempre e soltanto fuorilegge. Forse i parlamentari di quell’area dovrebbero frequentare di più dei laboratori scientifici. O forse, più semplicemente, non dovrebbero farsi le canne e proibire agli altri cittadini di fare altrettanto…

Un testo ampio e analitico è dedicato all’empatia, e quindi ai neuroni specchio scoperti e studiati da Giacomo Rizzolatti. Per una specie sociale come la nostra, la capacità di immedesimarsi nei pensieri degli altri ha un evidente vantaggio evolutivo; a cominciare dalle apparentemente banali ma in realtà assai complesse interazioni che ciascuno di noi affronta nella vita quotidiana.

Molto significativo è poi un articolo dal tono positivo sulla medicina cinese. Va ricordato, infatti, che Mente & cervello è un’emanazione de Le Scienze, rivista dall’impianto quasi sempre positivistico e riduzionistico.

A proposito di profumi, un breve testo dedicato agli oli essenziali rileva come «l’olfatto si trovi a stretto contatto con i centri emozionali del cervello» (92). Cervello la cui struttura venne studiata nella seconda metà dell’Ottocento dal medico italiano Camillo Golgi, scopritore della «reazione nera», un procedimento (a base di nitrato d’argento e bicromato di potassio) che permise di visualizzare per la prima volta con chiarezza le strutture dell’encefalo.

Un interessante articolo discute dell’«identità ai tempi del Web». Vi si parla, fra l’altro, di noi e cioè dei nickname mediante i quali ci si può costruire diverse identità nella Rete. Il consiglio, che condivido, è quello di firmarsi col proprio nome se si vuole essere ascoltati su tempi lunghi. Il nostro vero io, come abbiamo ricordato anche a lezione, è già da solo un coacervo, è il risultato assai sofisticato –e sempre fragile- di una serie di strategie incrociate, nelle quali a volte prevale una tendenza e altre vince quella opposta. E la memoria costituisce uno dei pochi, efficaci strumenti di permanenza del sé al di là dei conflitti e del tempo…


agb
«Il tempo sembra essere presente in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo»
(Aristotele)
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Cateno
2° Livello

Città: Regalbuto


169 Messaggi

Inserito il - 14/10/2006 : 11:35:49  Mostra Profilo Invia a Cateno un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Salve a tutti! Che piacere tornare a scrivere dopo questi mesi di assenza! Ma, sapete com'è, l'estate ci frega un po' tutti! Ad ogni modo...

Anch’io leggo con passione M&C e devo dire che lo trovo sempre interessante.
In questo numero c’è pure un articolo su cui credo che il prof Biuso abbia volutamente sorvolato, criticandolo però con la condivisibile conclusione che la guerra non vada cominciata affatto. L’articolo in questione tratta dello stress da guerra, ossia di tutta una serie di disturbi emotivi, cognitivi e comportamentali che possono sfociare nella cosiddetta sindrome da stress post-traumatico.
L’articolo mi pare fin troppo “americano”; non a caso a scriverlo sono due psicologi capitani dell’esercito degli Stati Uniti, entrambi spediti in Iraq a sostegno e prevenzione per le truppe ivi impegnate.
Nonostante sin dall’inizio gli autori precisino che «gli effetti psicologici ed emotivi del combattimento sui militari possono essere devastanti» (pag. 39) e che possano avere effetti nefasti nei rapporti tra commilitoni e tra militari e popolazione civile, mi pare che l’articolo sia piuttosto centrato sul «profondo influsso» che questi sintomi possono avere «sul successo delle operazioni belliche». Insomma, piuttosto che essere interessati al benessere della persona, sembra quasi che questo non importi nulla o, al massimo, importi solo nella misura in cui è funzionale all’efficienza delle truppe. La cosa sconcertante è che gli autori addirittura insistono nel dire che «se lo stress è contenuto entro limiti ragionevoli, molti militari diventano più efficienti. Alcune situazioni però sollecitano l’individuo fino a menomarne l’efficienza» (pag. 39). Si capisce bene che se è in gioco solo l’efficienza o meno di un soldato, ogni valore della persone è praticamente annientato.
Se la convinzione di fondo fosse l’ingiustizia o quantomeno il tremendo dolore che porta la guerra, allora si potrebbe facilmente concludere che l’obiettivo di uno psicologo in una guerra orami scoppiata sarebbe solo quello di sostegno e di rimpatrio quanto più possibile repentino per un milite che accusa i primi sintomi. Invece, se la convinzione è quella della necessità e “giustezza” (più che giustizia) della guerra, allora l’obiettivo è veramente la riuscita delle operazioni belliche e i soldatini sono solo piccole pedine, strumenti, mezzi, oggetti da rendere quanto più efficienti; e siccome lo stress mina l’efficienza, allora dobbiamo curarlo!
A pag. 42 gli autori sono spaventosamente chiari: «la missione di un’équipe di controllo dello stress da combattimento è precisa: intervenire con la prevenzione e la cura il più possibile vicino all’unità del soldato, in modo da consentirgli di rimanere nel gruppo».
La paura, lo schifo nel vedere i corpo dilaniati, il panico: sentimenti normali, avvertimenti naturali, difese contro il dolore: tutto questo deve essere annientato, deve rientrare nei canoni del “prevedibile”; questi sentimenti devono scomparire e perdipiù in pochissimi giorni; non abbiamo bisogno di gente che ha paura, che vuole tornare a casa, che non vuole essere uccisa e uccidere; no, abbiamo bisogno di automi, in cui tutto è “prevedibile”: «dopo sei giorni, erano in condizione di riprendere la missione» (pag. 43).
Solo nelle ultime righe pare che un lampo di umanità colga gli autori, che ci rincuorano, bontà loro, dicendoci che solo l’assistenza sanitaria mentale può garantire un sereno ritorno in patria, dai familiari e in mezzo ai civili. E meno male che gli autori non sono «così ingenui da pensare che queste esperienze non lasceranno segni». Ma forse avranno contribuito a rendere la guerra, se non proprio normale, almeno “prevedibile”.
Le uniche parole sulla tragicità devastante della guerra, però, in queste pagine, vengono da Marco Cattaneo, nei due riquadri (pagg. 38 e 40) che concludono con le frasi che ha riportato il prof Biuso: «la guerra non finisce mai. Né per chi la fa né per chi la subisce».
Ed io mi sento fortunato, a non averla fatta e a non averla subita. E vi garantisco che ogni giorno, nel mio piccolo, mi impegno a che tutto continui così.


Finché non lo fai tuo,/ questo "muori e diventa",/ non sei che uno straniero ottenebrato/ sopra la terra scura. (J. W. Goethe)
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