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giofilo
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Inserito il - 18/04/2006 : 16:26:12
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Ho notato che su internet si trova una gran quantità di materiale (e-books, articoli ecc.) su argomenti filosofici attinenti al nostro corso di quest'anno. Chi dovesse trovarne potrebbe dirlo in questo post...
Per ora indico il numero di una rivista di filosofia dell'I.A. e scienze cognitive, "networks", dedicato interamente alla coscienza/consciousness
Il link è questo: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/ai/networks/04/
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Stanley
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Biuso
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Inserito il - 21/04/2006 : 15:01:52
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Ottime segnalazioni. Il saggio di Enrico Castelli Gattinara è una sintesi molto chiara della dinamica tra oblio e memoria, che conferma come la mente non sia una res ma costituisca una funzione. Assai plausibile la conclusione: «Il non luogo dell’oblio è insomma lo stesso, necessariamente e irriducibilmente, di quello istituito dalla memoria».
Consiglio anch’io di scaricare e leggere i numeri che man mano vengono pubblicati della rivista on line Networks. Nel numero segnalato da giofilo mi sono parsi interessanti soprattutto il saggio di Malatesti a proposito dell’esperimento mentale jacksoniano della neuroscienziata Mary (ovvero l’argomento della conoscenza), quello di Di Francesco su mente distribuita e unità del soggetto e il testo di Gonzalez, Broens e Haselager su «Cosciousness and Agency: The Importance of Self-Organized Action». In particolare le seguenti affermazioni sono molto vicine alle tesi che stiamo sostenendo a lezione: «the temporal aspects of the active (not merely reactive) interaction between body and environment are of considerable importance to the emergence of consciousness»; «what the body cannot perceive cannot be processed by the brain»; così come la conclusione a proposito dei limiti delle intelligenze artificiali: «we argued that robots currently lack a genuine embodied embeddedness that allows the type of selforganization found in the evolutionary development of organisms. Basic, actionrelated forms of consciousness evolved out of the continuous dance of bodies with their environments. In cognitive science we all still have much to learn about dancing».
agb «Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere» (Spinoza)
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Stanley
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Stanley
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Biuso
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Inserito il - 20/05/2006 : 19:00:12
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Due altre ottime segnalazioni. Siete degli attenti segugi… I due testi si inseriscono nell’ambito di una iniziativa di analisi e discussione di tematiche filosofiche organizzata dallo SWIF. Sito Web Italiano per la Filosofia. Chi volesse conoscere questa e altre iniziative, basta che visiti il sito.
Il testo di Dorato (che in realtà è parte di un ampio volume dal titolo Futuro aperto e libertà. Un’introduzione alla filosofia del tempo Laterza 1997) è ricco di spunti e offre un assaggio di che cosa sia una filosofia analitica del tempo la quale, com’è tipico di tale approccio, parte dall’analisi delle strutture linguistiche.
In molti linguaggi naturali il tempo si esprime in due modi diversi. Il primo elenca la successione di passato, presente e futuro e quindi le cosiddette determinazioni A. Il secondo, invece, distingue il prima e il poi, e cioè le relazioni B. Un’ulteriore coppia di opposti strettamente legata alla prima è data dai termini inglesi tensed e tenseless, tradotti con tensionale e atensionale. Il primo termine indica un riferimento al tempo presente, il secondo l’assenza di tale riferimento. È chiaro che la verità di un enunciato atensionale è onnitemporale o atemporale. Atemporali sono gli enunciati che sono sempre veri, al di là del tempo e dello spazio, come i teoremi matematici e geometrici. Onnitemporali sono quegli enunciati che sono veri in qualunque luogo o momento, come gli enunciati puramente cronologici, ad esempio l’affermare che la data del 15 dicembre 2005 precede il capodanno del 2006. Nel linguaggio ordinario l’uso più diffuso è quello degli enunciati tensionali.
Le determinazioni A sono legate agli enunciati tensionali, e le relazioni B a quelli atensionali. Da questa convergenza si generano due concezioni del tempo: dinamica e statica. Le differenze fra le due sono nette. La concezione dinamica ritiene che le distinzioni tensionali di passato presente e futuro siano più fondamentali rispetto a quelle del prima e del poi, gerarchia che i teorici del tempo statico invertono; questi ultimi, inoltre, ritengono che la differenza ontologica tra presente, passato e futuro sia analoga a quella che intercorre fra lo stare qui o là nello spazio e che quindi il futuro sia reale almeno quanto è reale l’altrove, i teorici dinamici sostengono invece che reali sono il presente che è ora e il passato che qualcosa è già stato, mentre il futuro diverrebbe reale solo nel momento in cui si trasforma in presente, come futuro essendo del tutto inesistente. Il tempo consisterebbe quindi nella somma ad ogni istante crescente dei fatti ed è un’onda continua di percezioni, sensazioni, atti di coscienza, senza che nulla possa interrompere tale flusso finché la vita vive, mentre l’opinione dei teorici statici è che percezioni, sensazioni e azioni si raggrumano di continuo in atti di sintesi dotati di significato che uniscono fra di loro esperienze successive formando dei punti discreti.
Per comprendere le rispettive motivazioni, diventa importante chiarire il concetto di evento, distinguendolo da quello di ente.Un ente è qualcosa che in un qualsiasi istante dato è presente per intero in tutta la sua struttura. Un evento, invece, è temporalmente esteso, nel senso che la sua struttura si completa solo alla fine di un processo temporale, come –ad esempio- l’esecuzione di una melodia o un viaggio da Catania a Palermo.
Il flusso temporale non è un ente fisico ma una forma della consapevolezza umana d’essere. La relatività speciale implica, infatti, che le determinazioni A non possiedano realtà oggettiva ma siano –come una volta si espresse Einstein- delle illusioni, per quanto tenaci. Il mondo del quale siamo parte esisterebbe senza accadere perché «solo allo sguardo della mia coscienza, che si arrampica lungo la linea di universo del mio corpo, una sezione di tale mondo viene alla vita come una fuggevole immagine nello spazio che cambia continuamente nel tempo» (H. Weyl, Philosophy of Mathematics and Natural Sciences, Princeton University Press, Princeton 1949, pag. 116).
Non sono quindi gli oggetti e gli eventi che mutano ma è il cambiamento di prospettiva temporale della mente intorno a un evento a rendere quell’evento passato, presente o futuro, in relazione al punto dello spazio-tempo occupato dall’osservatore, «senza quindi che l’evento passato in sé possa essere modificato. A modificarsi è solo il nostro ricordo di esso, e in tal modo si spiega il senso soggettivo del passaggio del tempo in un universo in cui passato e futuro sono ontologicamente simmetrici: lo scorrere del tempo dipende dalla mente» (Dorato). Come stiamo dicendo da mesi…
agb «Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere» (Spinoza)
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Stanley
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Inserito il - 21/05/2006 : 13:39:03
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quote: Due altre ottime segnalazioni. Siete degli attenti segugi…
Siamo addestrati per questo...
Stanley |
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Stanley
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Stanley
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Biuso
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Inserito il - 14/09/2006 : 15:51:01
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I testi segnalati da Stanley sono (ancora una volta!) molto interessanti, anche se Rizzolatti non affronta se non per accenni l’ipotesi avanzata da Chalmers (consiglio a tutti una visita al sito del filosofo, in particolare alle ragazze… ). Aggiungo quindi poche notizie sulle tesi di quest'ultimo, dopo una breve premessa generale.
Immedesimarsi nei comportamenti e anche nei pensieri altrui è per gli esseri umani un’abilità naturale, una facoltà spontanea. Da un lato, infatti, compenetrarsi nei sentimenti degli altri è utile a prevederne le mosse e quindi a difendersi o a trarne vantaggio. D’altro lato, una qualche forma di empatia verso i membri della nostra stessa specie sembra costituire un vantaggio biologico collettivo, che quindi si sviluppa sia a livello individuale-ontogenetico che specistico-filogenetico. E tuttavia la simulazione intesa «come una procedura mentale funzionale alla interpretazione, comprensione e previsione del comportamento intenzionale altrui» (G.Romano, La mente mimetica. Riflessioni e prospettive sulla teoria della Simulazione Mentale, Protagon Editori Toscani, Siena, 2004, pag. 197) non costituisce soltanto un’esperienza quotidiana ma è anche un problema teoretico che coinvolge questioni gnoseologiche, psicologiche e neurologiche di notevole complessità.
Secondo Chalmers, la prima evidenza alla quale la riflessione sulla coscienza ci conduce è una vera e propria asimmetria epistemica, per la quale mentre ogni altra realtà è conosciuta in terza persona e a partire da dati più o meno esterni e oggettivi, la coscienza può essere indagata solo in prima persona, dall’io che fa esperienza di essa, che pensa, che ha emozioni, che prova qualcosa a essere una determinata realtà. Se non ne facessimo esperienza personale, insomma, niente nella realtà del mondo potrebbe indurci a postulare la coscienza. Essa va distinta, (ma non separata), dalla consapevolezza perché la consapevolezza si basa sui dati conoscitivi, sulle nozioni a proposito del mondo mentre la coscienza consiste in stati fenomenici, nella sensazione che si prova a sapere qualcosa, a percepire un colore, a sentire suoni e così via. Un’altra distinzione è da porre fra mente e coscienza fenomenica e mente e coscienza psicologico-cognitiva: la prima è caratterizzata da ciò che prova, la seconda da ciò che sa e fa.
Di fronte alla evidente assurdità dell’eliminativismo –evidente perché di nulla facciamo esperienza più concreta, costante, molteplice, di quella dei nostri stati fenomenici- e all’insufficienza delle spiegazioni neurobiologiche che si dedicano a chiarire lo statuto non della coscienza ma della memoria, del linguaggio, dell’apprendimento e dei processi sottostanti all’esperienza conscia, per Chalmers una teoria della coscienza si deve fondare su alcuni principi pertinenti e da lì trarre il maggior numero di spiegazioni possibili su quanto accade quando facciamo esperienza di qualcosa. Alcuni di questi principi derivano dall’esistenza di tre diversi tipi di giudizi legati alla coscienza: «giudizio di prim’ordine: “Questo è rosso!; giudizio di second’ordine: “Sto provando una sensazione di rosso”: giudizio di terz’ordine: “Le sensazioni sono misteriose”» (D.J. Chalmers, La mente cosciente, McGraw-Hill, Milano 1999, pag. 181). All’insieme di questi principi va aggiunto il chiarimento di una questione metodologica decisiva: la sopravvenienza. Quest’idea formalizza la nozione intuitiva per la quale una realtà può determinarne completamente un’altra. Il nucleo teoretico della proposta di Chalmers consiste nella dimostrazione della impossibilità di una sopravvenienza logica (o metafisica) del mentale sul fisico a favore di una sua sopravvenienza solo naturale. «Ci sono altre caratteristiche nel mondo oltre alle proprietà fisiche» e la coscienza è una di queste (pag. 125). La prova più significativa della falsità del materialismo riduzionistico è data da Chalmers mediante l’esperimento mentale degli zombie: è infatti logicamente possibile e nient’affatto contraddittorio concepire l’esistenza di uno zombie, «qualcuno o qualcosa fisicamente identico a me (o a qualsiasi altro essere cosciente), ma completamente privo di esperienze consce» (pag. 96). La concepibilità degli zombie dimostrerebbe che il mentale non sopravviene logicamente sul fisico ma occupa uno spazio ontologico autonomo.
Il dualismo che Chalmers propugna è però molto diverso da quello interazionista di Popper ed Eccles; è un dualismo naturalistico che rappresenta in realtà una versione non riduzionistica di funzionalismo. Anche se non riducibile all’organizzazione funzionale, la coscienza sarebbe quindi da questa determinata. Tale conclusione si fonda su una complessa –e a volte piuttosto pedante- teoria dei cosiddetti qualia assenti, danzanti, in dissolvenza e sul concetto computazionale di implementazione. Per quanto riguarda i qualia, l’assunto è che essi non vengano perduti né subiscano alcuna alterazione da una progressiva sostituzione dei neuroni con chip di silicio o con qualsiasi altro materiale in grado di mantenere l’organizzazione funzionale del cervello (ritorna quindi l’ipotesi della realizzabilità multipla). La computabilità è rafforzata da un’ontologia che vede il mondo come un puro flusso di informazioni –it from bit- dietro cui non esiste alcuna sostanza, e da una fisica di impianto quantistico. Più in generale, il filosofo australiano ammette l’inevitabilità di una qualche speculazione metafisica se si vuole spiegare davvero la coscienza senza cadere nel riduzionismo o nel materialismo.
Metafisica per metafisica, però, un programma di ricerca sull’ontologia della coscienza dovrebbe affrancarsi con più coraggio dai pregiudizi scientistici ai quali Chalmers unisce la paradossale fedeltà a un funzionalismo che negli ultimi anni è sempre più in difficoltà (basti pensare che Putnam, uno dei suoi iniziatori, se ne è ormai quasi del tutto allontanato). Oltre a questa perplessità di fondo, alcune più specifiche posizioni difese da questo filosofo mi sembrano poco sostenibili. Ad esempio: 1) l’accettazione dell’epifenomenismo, per quanto in una forma limitata; sembra contraddittorio, infatti, sottolineare da un alto –e giustamente- la centralità del problema che la coscienza rappresenta per ogni comprensione integrale del mondo e ammettere poi una forma di sostanziale incapacità della coscienza stessa a incidere sui fatti del mondo. 2) la sottovalutazione della netta differenza che deriva dal concepire la mente in termini algoritmico-formali o, invece, in una chiave semantico-esistenziale. 3) l’approccio negativo verso la dimensione corporea e biologica della coscienza, tanto più inaccettabile in chi –come è il caso di Chalmers- voglia rimanere in un ambito naturalistico. È anche da tale indifferenza verso la dipendenza della mente e della coscienza dall’intera corporeità, dalla sua storia, dalla sua complessità, che si generano gli equivoci panpsichistici di Chalmers, che tende seriamente ad attribuire una qualche forma di coscienza a un termostato.
Più in generale, uno dei limiti della proposta di Chalmers –per altri versi così ricca e stimolante- consiste nella restrizione di partenza della coscienza al cervello o a qualsiasi apparato che gli sia funzionalmente affine. Io ipotizzo, invece, che la coscienza vada ben oltre la struttura cerebrale e la sua specifica organizzazione e si allarghi all’intera corporeità, all’ambiente, alla storia filogenetica e ontogenetica della mente, al tempo.
agb «verso la luce –l’ultimo tuo movimento; un giubilo di conoscenza –l’ultimo tuo accento» (Nietzsche)
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Stanley
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Stanley
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Inserito il - 06/10/2006 : 14:13:39
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Ecco un altro sito ben organizzato.Vi si possono trovare moltissime informazioni su:la storia,la struttura e l'organizzazione del cervello;gli sviluppi sull'intelligenza artificiale;una descrizione accurata delle reti neurali;ed ancora riassunti per "punti chiave" e un glossario per potersi districare agevolmente.L'unica pecca potrebbe essere l'inglese,ma tutto sommato il contenuto è comprensibile.
http://www.phy.syr.edu/courses/modules/MM/brain/brain.html
Stanley |
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