Biuso
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Inserito il - 22/09/2005 : 18:17:14
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Il numero di settembre-ottobre di Mente & Cervello sembra fatto apposta per demolire un postulato fondamentale della moralità –il libero arbitrio- e una delle sue regole più conosciute -il dovere di dire la verità.
Un neuroscienziato molto noto –Michael S. Gazzaniga- parlando dei Cervelli in tribunale affronta il delicato tema della responsabilità morale delle azioni umane. Dati sperimentali dimostrano che «tra l’innesco del potenziale [dei neuroni] e il momento della decisione corrente trascorrono circa 300 millisecondi» e questo vuol dire che «il nostro cervello conosce le nostre decisioni prima di noi» (p. 14). Dal punto di vista neurologico il libero arbitrio sembra insomma non esistere. Per mitigare questa conclusione, Gazzaniga si riferisce alla tesi di Alfred Ayer, che parlava di un «determinismo morbido», ma forse il celebre scienziato non sa che Ayer non fa altro che riprendere una fondamentale distinzione spinoziana, volta però a negare anch’essa il libero arbitrio. Nell’Etica, infatti, Spinoza distingue le costrizioni esterne (nel linguaggio di Ayer “azioni vincolate”) da quelle interne (“azioni libere”), osservando che noi tutti ci sentiamo costretti se riceviamo un ordine che provenga da altri e ci sentiamo invece liberi se lo stesso ordine proviene da noi stessi, dal nostro carattere, dalla nostra natura. Chiamiamo quindi libertà la necessità che deriva dal nostro corpo. Non sarebbe male se i neurologi conoscessero un po’ di storia della filosofia…
Il dossier è dedicato all’arte di mentire e vi si dimostra una tesi tanto semplice quanto importante: sia per gli umani che per molte altre specie animali –mammiferi e non- il fingere è necessario alla sopravvivenza. «Gli esseri umani sono bugiardi nati» (p. 46) e «l’esistenza del genere umano è permeata dalla menzogna» (p. 42) che svolge una decisiva funzione evolutiva e di salvaguardia del vivere collettivo. Le bugie sono importanti, a cominciare da quelle che diciamo a noi stessi, tanto che «la salute mentale, forse, dipende dall’autoinganno, e la comparsa della depressione è dovuta all’incapacità di mentire a se stessi» (p. 44). La soluzione, spesso, dipende dalla capacità «di modificare un’illusione che ci fa soffrire e sostituirla con un’altra» (p. 55).
Fra gli altri articoli, il più interessante mi è parso quello dedicato al senso del tatto, una facoltà percettiva spesso negletta ma assolutamente fondamentale. Infatti, «una perdita totale di questo sistema sensoriale non accade mai in natura: senza di esso saremmo semplicemente incapaci di sopravvivere» (p. 87), perché è col tatto che entriamo in relazione spaziale col mondo, valutiamo la consistenza degli oggetti naturali e artificiali, percepiamo il nostro stesso corpo, le sue dimensioni, la sua posizione. Tanto è vero che una delle possibili cause dell’anoressia mentale è proprio un disturbo tattile nella rappresentazione del proprio corpo, il quale fa sì che «neppure l’evidenza della propria immagine riflessa da uno specchio o la misura oggettiva del peso corporeo può eliminare questa convinzione patologica» (p. 90).
L’articolo di Martin Grunwald si conclude con la constatazione del fatto che uno degli ostacoli principali allo sviluppo della robotica e dell’I.A. consiste proprio nella difficoltà di dotare le I.A. del senso del tatto: «Al momento, il circuito di recettori che ci caratterizza rimane del tutto inimitabile. I robot sono privi di quella grande varietà di percezioni tattili senza la quale non può che sfuggire un’esperienza fondamentale: quella che ci consente di comprendere, di “afferrare” il mondo che ci circonda. Se si vuole che le macchine abbiano la capacità di reagire e comportarsi in modo quasi umano, sarà necessario, in futuro, dare loro un po’ più di tatto» (p. 91). Chi segue le lezioni catanesi di Filosofia della mente sa bene che vi viene continuamente ribadita questa centralità del corpo affinché si dia intelligenza, contro ogni concezione soltanto cognitivistica, sintattica e algoritmica dell’intelligenza.
Anche la rubrica dedicata agli “inganni della percezione”, occupandosi in questo numero degli “oggetti impossibili” (quelli alla Escher, per intenderci), conferma il «fatto che il nostro sistema percettivo segue regole di organizzazione che non sembrano sensibili al principio logico di non contraddizione» (p. 94). Solo con la logica, senza corporeità vivente e vissuta, non c’è pensiero ma soltanto calcolo.
agb Sono figlio della Terra e del Cielo stellato (Lamina orfica di Hipponion)
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