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 Recensione a Daniil Trifonov
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Laura C.
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Regione: Sicilia
Prov.: Catania
Città: Acireale


2 Messaggi

Inserito il - 05/03/2013 : 08:00:27  Mostra Profilo Invia a Laura C. un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Domenica 3 Marzo 2013
Catania, Teatro Massimo Bellini – ore 21

DANIIL TRIFONOV
recital pianistico

musiche di Skrjabin, Liszt e Chopin


Daniil Trifonov. Ovvero quando nell’umano alberga la scintilla del divino.

Domenica sera il Teatro Massimo Bellini di Catania si è trasformato nel Paradiso e nell’Inferno. Trifonov, che ha solo ventidue anni ma brilla già fra gli astri del pianismo russo, è riuscito a elevare gli spettatori alla perfezione eterea delle schiere angeliche per poi trasformarli nei seguaci più convinti di Satana.

Il concerto si è aperto con la Seconda Sonata op. 19 di A. Skrjabin, una sonata-fantasia in 2 tempi di grande fascino timbrico, che specie nell’Andante iniziale giunge al lirismo più puro e al tempo stesso inquietante.

A seguire, la Sonata in si minore di F. Liszt, uno dei pezzi più complessi dell’intera letteratura pianistica. Non solo perché richiede doti virtuosistiche elevatissime ma anche (e soprattutto) perché, una volta domata la difficoltà tecnica, l’interprete dev’essere in grado di cogliere (prima) e trasmettere (poi) un’idea musicale che si propaga in circa 30 minuti di musica senza soluzione di continuità, un’idea musicale che nasce, diventa altro da sé, si nasconde e alla fine ritorna – quasi miracolosamente – in sé. La sonata di Liszt è tutta già nella prima nota.

Dall’euforia diabolica di Mefistofele che danza al ritmo delle terzine di Liszt, si è passati nella seconda parte del recital al pianismo poetico di F. Chopin, del quale Trifonov ha eseguito la serie completa dei 24 Preludi, piccoli brani (alcuni durano solo pochi secondi), in cui si concentra tutta la forza espressiva e l’eleganza della musica del compositore polacco.

Infine 4 bis, tra i quali, oltre alla cristallina Gavotta dalla terza Partita per violino solo di Bach trascritta da Rachmaninov, la Danza infernale dall’Uccello di fuoco di Stravinskij. A chiusura di un programma così impegnativo, Trifonov ha sfoderato, senza neanche scomporsi troppo, questo disumano tripudio del virtuosismo trascendentale (il brano è davvero terrificante per tecnica e ricerca timbrica). Il pubblico era in assoluto visibilio. E a ragione, direi. Ci si sente fieri di essere umani quando si ritorna alla consapevolezza che l’umano non è altro che il divino.
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