Biuso
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Inserito il - 08/10/2008 : 10:14:02
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Molti e davvero corposi i temi affrontati in questo numero della rivista: il desiderio profondo dell'ignoto e del rischio che spinge molti ad affrontare imprese assai pericolose e comunque a cercare sempre nuove emozioni; l'ascolto e la creazione di racconti come elemento fondante l'identità individuale e collettiva; le conseguenze psicologiche ed esistenziali dei divorzi; le ragioni profonde del fascino e del successo dei film “catastrofici”; le imprese (bugie) e le debolezze dei millantatori compulsivi; la complessità e la differenza di genere della «mente orgasmica», che nel maschio produce -tramite l'eiaculazione- un'intensità «paragonabile a a quella indotta dall'eroina» mentre nella femmina il percorso è assai più complesso (M.Portner, pag. 36); le caratteristiche e i limiti del concetto di “genialità”, un tema sul quale dominano i luoghi comuni, a partire da quello che vorrebbe il genio sempre «un po' frastornato, inetto al di fuori del suo ambito speciale» quando invece l'intelligenza -se è davvero tale- è olistica perché proporzionalmente distribuita nei vari aspetti del vivere e dell'apprendere (D.H.Rost, 69); come superficiale è anche l'altro pregiudizio «secondo cui i soggetti con un altissimo QI sarebbero per lo più individui isolati, infelici e nevrotici. In seguito, i bambini studiati da Terman hanno infatti goduto di salute, amore e successo superiori alla media» (70); non sono necessarie molte ricerche, poi, per capire come sia «la continua attività intellettiva nella vita quotidiana» a favorire il maggior sviluppo possibile delle intelligenze: leggere, tenersi informati sull'attualità, impegnarsi in associazioni culturali, incontrare persone curiose e stimolanti, giocare a scacchi, viaggiare, «guardare la televisione con moderazione» (ibidem).
In ogni caso, «la base psichica dell'Io è il Noi», il Dasein è anche Mitsein (M.Barberi, 30). Dimensione sociale che contribuisce in modo significativo a quella vera e propria emergenza collettiva che sta diventando l'anoressia, «una malattia mentale dalle molte sfaccettature, i cui effetti vanno ben oltre i rapporti col cibo» estendendosi «a una generale incapacità di apprezzare i piaceri della vita» (T.Gura, 54). Se si pensa che almeno due terzi degli anoressici non guarisce mai del tutto e che anzi il 20 per cento di chi è colpito da anoressia muore, ogni spiegazione monocausale diventa implausibile. Si dipende dalla fame come si dipende da una persona, da una droga, da un lavoro, da un vizio. È quindi tutta la vita, la memoria e le attese di un soggetto che nell'anoressia trovano un significato, una spiegazione, uno scopo. Gli anoressici, infatti, non vivono nel presente ma propensi verso un futuro nel quale sognano di diventare degli ologrammi eterei, creature -letteralmente- senza peso: «le persone colpite da anoressia hanno difficoltà a vivere nel “qui e ora”, spiega Kaye (...) poiché per loro la vita non è appagante» (59). Come sempre, la tristezza è insieme la radice e l'effetto di ogni male.
Oltre che questi grandi temi, sono interessanti anche alcuni accenni sparsi qua e là in rubriche o notizie. Ad esempio, la complessità della figura e della proposta teoretica di Carl Gustav Jung, «definito via via come occultista, scienziato, teista, profeta, ciarlatano, guru, poeta, razzista, misogino, psichiatra e antipsichiatra» (A.Castello d'Antonio 105; già solo questo elenco rende Jung ai miei occhi simpatico... ); l'interessante articolo di una di quelle psicologhe che vivono e prosperano sulle fantasie di abuso dei bambini, la quale arriva a sostenere che anche se «confuso, frammentato e contenente particolari inventati», il racconto di un bambino è quasi sempre attendibile...(E. Di Rienzo, 101); la chiarezza con cui il criminologo Massimo Picozzi afferma -prendendo spunto dal reiterato e sadico assassinio di due donne commesso da Angelo Izzo a distanza di trent'anni dal massacro del Circeo- che «i più saggi e concreti tra gli psichiatri forensi sanno che i killer che uccidono per un piacere sadico-sessuale non guariscono mai» (14), questo semplice dato di fatto rende discutibile l'attribuzione di una funzione soltanto di recupero (e non anche di contenimento) alla pena e dà ragione in ambito psichiatrico a Spinoza, il quale in una lettera a Oldenburg sostiene che «il cane che diventa idrofobo per un morso non è responsabile, e tuttavia è giustamente soppresso» (Epsitolario, Einaudi 1974, p. 305).
È, infine, davvero illuminante la mail che una lettrice ha inviato allo psichiatra Leonardo Tondo. Merita di essere riportata per intero: «Sono attualmente in cura per depressione da uno psicoanalista. Le sedute si svolgono frontalmente e con una frequenza trisettimanale da tre anni e mezzo. Parallelamente, uno psichiatra cerca di darmi dei farmaci a dosi minime: ho provato anche antidepressivi, ma senza grandi risultati. Ora ho problemi di sonno con ansia al risveglio, senso di nausea con conati di vomito e diarrea, così mi ha somministrato un ipnotico che però non funziona sempre. La mattina faccio fatica ad alzarmi. Ho dovuto accettare un lavoretto di segreteria per poter pagare l'analisi, che è parecchio costosa, senza aver avuto risultati rilevanti. L'analisi ha messo a nudo tutta la mia negatività, ma il positivo non emerge. Mi chiedo se la terapia sia giusta per me. Io mi sento sempre meno fiduciosa e con poche speranze dato che i momenti (prima erano giorni) in cui il mio umore è positivo ora sono quasi nulli. Oltre a questo lo psichiatra e l'analista non si parlano perché dicono che sono due strade distinte, e a me questo mette confusione. Sono stanca. Se potesse darmi un consiglio gliene sarei grata. Sono sposata, e ho un figlio di 21 anni» (7). Lascio ai venticinque lettori di questo forum di trarre le conseguenze sullo statuto “scientifico” della psicologia -e della psicoanalisi in specie- e sulle sue capacità di guarire gli umani dalla tristezza di esistere, trasformata in malattia.
agb «Senza la musica la vita sarebbe un errore» (Nietzsche) «La filosofia è la musica più grande» (Platone)
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