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Biuso
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Inserito il - 08/04/2008 : 08:44:24
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E' sempre con soddisfazione che segnalo -e invito altri amici a farlo- ogni conferma sperimentale dell'unità psicosomatica e della relazione intrinseca tra cervello/mente/mondo. Quella qui riferita mi sembra molto importante perché coinvolge il decisivo ambito del linguaggio e smentisce, ancora una volta, l'approccio riduzionistico.
L'intera notizia si può leggere sul sito de Le Scienze.
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La lingua madre non si nasconde
L'apprendimento della lingua madre, ma non quello di nuove lingue, avviene insieme all'acquisizione di conoscenze concettuali, sensoriali e normative, di cui resta una traccia cerebrale
L'attività elettrica cerebrale rivela la lingua nativa di una persona che legge in silenzio. La scoperta, effettuata da ricercatori del Cnr e dell'Università Milano-Bicocca e pubblicata sulla rivista Biological Psychology, aiuta a determinare l'idioma originario di una persona anche in stato di amnesia, in stato confusionale o sordomuta.
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"Abbiamo condotto la nostra ricerca su 15 interpreti simultanei italiani di elevata professionalità - spiega Alice Mado Proverbi - constatando che componenti indipendenti dell'attività bioelettrica cerebrale distinguono la lingua madre da qualunque lingua appresa in età scolare, anche se la padronanza è elevatissima ed equivalente a quella della lingua nativa".
In particolare, una prima onda d'attività (chiamata N170) nella regione visiva sinistra del cervello, ha una grandezza diversa a seconda che la parola letta appartenga alla lingua madre o a lingue apprese dopo i 5 anni di vita. Il fenomeno è dovuto al fatto che l'apprendimento della lingua nativa si verifica contemporaneamente all'acquisizione delle conoscenze concettuali e normative, come pure delle esperienze corporee e sensoriali.
Come spiega la ricercatrice, "un bimbo impara che un 'coltello'- la cui forma sonora viene elaborata nella corteccia temporo/parietale posteriore - è lungo, affilato, lucente, freddo, appuntito (informazioni apprese toccando e guardando e immagazzinate nella corteccia somato/sensoriale), che solo gli adulti lo possono maneggiare (valore normativo, con un collegamento alla corteccia prefrontale), che è pericoloso (valenza emotigena, sviluppo di marker somatici immagazzinati nella corteccia orbito-frontale e nell'amigdala). L'apprendimento della traduzione in inglese di 'coltello', cioè knife dopo la formazione delle conoscenze sul mondo corrisponderà invece all'acquisizione di un'informazione di tipo puramente fonetico e ortografico, e non condividerà il substrato neurobiologico della memoria dell'individuo, se non in modo indiretto".
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agb ««Per lætitiam...intelligam passionem qua mens ad majorem perfectionem transit» (Spinoza, Ethica, III, XI, Scholium)
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Cateno
2° Livello
Città: Regalbuto
169 Messaggi |
Inserito il - 08/04/2008 : 11:09:49
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Questo rende più salda una mia convinzione: i filosofi debbono esprimersi nella propria lingua. Altrimenti, per esempio scrivendo "per forza" in inglese come fanno gli analitici, viene a cadere la profonda unione tra corpo e mente, tra sensazioni, emozioni, concetti; unione che si mostra appunto anche nella lingua madre. Solo se espresso nella propria lingua il pensiero può avere una lingua propria e parlare quindi tutte le lingue. Un plurilinguismo che non significa parlare diverse lingue, giacché questo, parafrasando Carmelo Bene, incasinerebbe due volte le cose; significa invece saldare il pensiero al nocciolo inscindibile di emozione e teoresi. Da qui poi si possono dipartire i tentativi di traduzione.
Finché non lo fai tuo,/ questo "muori e diventa",/ non sei che uno straniero ottenebrato/ sopra la terra scura. (J. W. Goethe) |
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