V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
digiu |
Inserito il - 27/11/2006 : 02:15:15 *The Wind That Shakes the Barley* ovvero come un manipolo di uomini nelle terre d'Irlanda, a causa di orrende vessazioni del dominio monarca britannico, giunga ad ingrossare le fila dell'IRA e lottare fratello contro fratello, morto dopo morto, verso un cammino "illuminato" col profumo d'indipendenza.
Davvero arriva un momento che gli orologi si fermano, le visioni cessano, gli occhi - finora chiusi nel fantasticare un altrove cui ci aveva condotti la luce magica del proiettore - tornano ad aprirsi. Questo momento, per me, è stato questo film, vincitore della Palma di Cannes.
Un film corale, drammatico, per molti versi quasi tragico. Un film che quando ti ci trovi dentro a metà proiezione (diciamo dopo la prima ora e mezza) osservi con trasporto lasciando da parte ogni giudizio. Poi sul finire, l'ultima mezz'ora, ti mette addosso distanza; capisci che quanto hai appena visto con l'arte non c'entra niente, capisci che col documentario non c'entra niente, concludi che col cinema non c'entri niente.
Il problema non è che si tratta del solito Ken Loach, e neppure consiste nel genere o nei personaggi. Davvero il problema è che questo film di cinematografico non possiede nulla! Non c'è tecnica nel muovere la macchina da presa, possiede meno sceneggiatura e musica di *Salvate il soldato Ryan*, ci mostra unicamente attori che si muovono in due tipi di scene (d'azione/di parole) in maniera del tutto asettica. Si punta a strappare la lacrima, oppure alla velleità politica (qua e là dai critici entusiasti leggo d'un paragone con le attuali guerre in Iraq e Afghanistan...) e perciò - capite bene - un film così non può produrre nulla. Almeno in me non produce nulla.
Mi piacerebbe che un giorno alcuni critici di giurie, di giornali, gente di strada che stila classifiche trattando i film come squadre di calcio e l'arte come un campionato, ebbene mi piacerebbe che tutti questi aprissero gli occhi e si rendessero conto del re ormai definitivamente nudo. Il 90% dei film che passano nelle nostre sale non ha niente da dire né da trasmettere, intende rispondere esclusivamente al fine commerciale: preferisce strappare il ghigno gutturale, quello che arriva dalla gola senza passare dalla testa (se si tratta di commedia); strappare la lacrima facile (se si tratta di dramma); intrattenere nel senso di assopire lo spettatore assecondando tutto ciò che fosse già previsto (per tutti gli altri generi, dall'azione al thriller). In fondo vige la legge del commercio, e quando compriamo un prodotto al supermarket esigiamo che faccia esattamente quanto ci aspettassimo.
Ebbene questi schemi debbono considerarsi morti e sepolti, a meno che insieme ad essi non si verifichi anche un modo di pensare il cinema che sia fatto di creazione, di cuore, di razionalità profonda, e non di formule algebriche che rispondano ai sondaggi. Ora non ritengo si svelare nulla di nuovo in questa mia filippica tesa a condannare la commercialità, però il punto sul quale mi piacerebbe che vi soffermaste è su quanto la mediocrizzazione dell'arte stia guastando anche il gusto collettivo. Il vostro gusto.
Concludo con un invito: provate a ripescare vecchi film di Hollywood, non dico di Kubrick o di Lynch ma di Hollywood (il paradiso delle major e dell'intrattenimento, dei copioni scritti con la carta carbone), della Hollywood di Michael Curtiz, di Billy Wilder, di John Ford, di Arthur Penn; personalmente non sono un fan di nessuno di questi ma provate a riguardare una decina di pellicole loro e spero comprenderete la differenza tra arted'intrattenimento popolare e volgare immondizia.
Perdonate la lunghezza dell'intervento, purtroppo non si tratta più di recensire un singolo titolo che transiti in sala, ma di capire una mentalità, riflettervi sopra e cominciare ad esercitare i sensi. Un giorno voi stessi oltreche consumatori potreste diventare produttori, in qualsivoglia settore dell'arte, sarebbe essenziale che non ripeteste gli errori di questi volgari venditori di fumo.
C'è cascato pure Ken Loach...
digiu (un vecchio pazzo che ogni tanto sbiella).
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6 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
DonBudgetBozzo |
Inserito il - 20/12/2006 : 14:17:26 quote: Mi pare che nessuno in questo 3d abbia sostenuto che Kubrick fosse un fiasco al botteghino. Il punto saliente al contrario è un altro: Kubrick ha certamente realizzato dei film che potessero andare incontro a un pubblico (ogni forma di spettacolo sia teatrale che cinematografica deve tenere conto della comunicazione e della percezione da parte di un pubblico), MA non ha mai ad esempio scelto una inquadratura o una soluzione scenica avendo in mente il guadagno! Ecco la differenza.
Ciò che evidenziavo, in maniera forse fin troppo stereotipata (al fine di rendermi comprensibile ai più) nei miei precedenti interventi, invece è il problema del 95% delle produzioni oggi che partono sin dalla culla come risposta ad un sondaggio di mercato e generano ovviamente film che s'inscrivono plenariamente nei filoni e generi abusati (cliché che io ho chiamato: "codificazione di ricette di successo")
Bene, concordo. L'unica cosa è che io non vedo l'attuale situazione del cinema in maniera così drammatica: mi pare che si producano ancora delle cose eccelse. Altresì la codificazione di ricette di successo esiste dalla notte dei tempi, che oggi questo procedimento abbia assunto delle forme particolari potrebbe darsi. Mi pare vero un dato, che rilevo empiricamente, vale a dire: gran parte dei film di valore oggi provengono da luoghi periferici (sud est asiatico, immigrazione ecc. ecc.), conseguentemente i grandi centri di interesse cinematografico hanno perso la loro importanza. A me, in definitiva, non pare che in passato si producessero maggiori film di valore mentre oggi al contrario ci sia un generale gioco al ribasso. Ci ragionerò su...
quote: Come hai giustamente affermato: il cinema s'è trasformato n volte nel corso della sua pur recente storia, eppure parlando di concezioni estetiche (per usare la tua definizione) nulla ha distrutto nulla, si è assistito a passaggi...e questo è dimostrato film alla mano. Un esempio divertente e singolare lo trovi per esempio nella lezione video di M.Scorsese sul cinema americano, dove tra le tante cose si analizzano alcune pellicole e di come alcuni maestri gestirono le 'migliorie' tecniche con piccoli artifici di 'resistenza': Elia Kazan ne la valle dell'Eden ad es. usava creare cornici interne all'inquadratura (porte semichiuse, corridoi ecc.) per eludere il formato panoramico (cinemascope). Se non è passaggio graduale questo...
Cito da Bela Balazs, Il Film (Einaudi 2002, pg. 209). «Solo negli ultimi anni l'evoluzione del film muto ha ricevuto un effettivo impulso. L'inizio di un'èra nuova, quella del film sonoro, ha tuttavia bloccato a metà strada questa evoluzione. La macchina da presa aveva appena allora cominciato ad acquistare sensibili nervi e fantasia. L'arte dell'inquadratura e del montaggio si era appena allora trovata in grado si superare la resistenza della materia oggettiva. Il film muto stava per acquistare quell'acutezza psicologica e quella potenza figurativa che si esigono dalle arti di questo genere. L'invenzione del film sonoro fu una specie di catastrofe. Tutta la vasta cultura visiva - di cui abbiamo trattato nel capitoli precedenti - fu in pericolo. Sovrapponendosi a una forma espressiva evolutissima, questo mezzo primordiale condusse la cultura cinematografica alle origini. Quando il livello espressivo si abbassa, non può non abbassarsi anche il livello del contenuto. Ma la storia conosce soltanto crisi: non conosce tragedie e morte quando sia in gioco il destino dell'intera umanità. Nel caso nostro siamo di fronte a una via nuova, che trasforma quella antica. Lo stesso accade nell'economia, dove ogni grande invenzione tecnica provoca crisi e catastrofi. E in tal modo favorisce il progresso.[...]»
quote: A me piace parlare di storia del cinema film alla mano: prendiamo ad es. il grande dittatore di Chaplin. E' un film indicato per affrontare la questione perché appunto Chaplin è stato uno dei maestri del muto e invece questa sua opera è in sonoro. Ebbene questo film dimostra l'esatto contrario di ciò che hai affermato sopra: il sonoro non ha soppiantato alcuna espressività estetica del muto, anzi una delle sequenze citate più spesso è quella del discorso di Hitler o delle 'prime esperienze di guerra' del barbiere: in entrambe le sequenze si ha perfetta fusione del sonoro e della mimica del corpo, quindi del nuovo e del vecchio.
Aver saputo utilizzare quelle tecniche a cavallo tra due mondi, come fece Chaplin, è arte...ed è arte a maggior ragione perché lo fece in una maniera comprensibile al più vasto pubblico. Cosa che dovrebbe farci riflettere sul fatto che non è il pubblico di massa ad aver boicottato l'arte, ma è il tentativo -a monte, da parte dei produttori- di codificare qualcosa di artisticamente e commercialmente riuscito onde riprodurlo in fotocopia ad aver guastato il gusto collettivo e l'idea del cinema come espressione di estetica e di pensiero.
Il problema è che Chaplin per potersi donare al sonoro ha dovuto uccidere Charlot. Non a caso Chaplin giunse al sonoro solo dopo un periodi di riflessione in cui continuava a dichiararsi nemico del sonoro. A tal proposito ti consiglio sempre l'inestimabile Balasz (ivi, pg. 255). «In The Great Dictator (1940) Chaplin parla. Si taglia addirittura i baffetti affinché la sua maschera non assomigli a Hitler. Un'altra differenza esiste tra il vecchio e il nuovo Chaplin, tra la vecchia figura grottesca e il nuovo uomo dai molteplici aspetti. Nell'ultima figura di Modern Times, Chaplin per la prima volta non va più solo per il mondo: gli è accanto una donna. Lo Chaplin muto era solo.»
quote: 2. Dici bene con l'esempio di Carmelo Bene: la sua è una idea radicale, ma pur sempre una idea (un modo di concepire e realizzare l'arte teatrale e in ispecie il ruolo dell'attore) tra le tante, come del resto è sempre stato nella storia dell'arte. Diversi modi di interpretare, esprimere e produrre quella che poi noi (NON LO STATO!!) chiamiamo internazionalmente arte.
Ma noi siamo lo stato. Noi è un pronome che fin dalle sue premesse presenta il bisogno di formarsi una voragine di mediocrità al suo interno. Il problema è il seguente: CB non aveva idee (nel senso che le sue idee si estinguevano nell'atto), noi abbiamo bisogno di attribuirgli retrospettivamente idee per colmare la nostra mancanza verso il darsi dell'arte e allo stesso tempo - nello storicizzare l'arte - far finta che questa sia dominata da un senso che possa riscattarci. Ma nell'idealizzare, così come nel codificare o nello storicizzare, si toglie vita all'arte. L'arte diventa lettera morta: l'unione di fondo tra teoresi e prassi di vita è definitivamente abortita a tutto vantaggio della prima. Il nostro stesso riferirci all'arte presuppone un'equidistanza dall'oggettoconsiderato. Non c'è assorbimento, fusione soggeto-oggetto. Amiamo tutto e il contrario di tutto perché da uomini comuni non possiamo mettere in discussione le nostre esistenze. Non possiamo permetterci di cacare su Shakespeare; di imparare per disimparare, per giungere ad una sana incoscienza. Questa è la differenza tra noi e il genio. Il genio ama tutto, quindi odia tutto. Noi amiamo tutto e il contrario di tutto. É questo il dramma (o almeno io lo percepisco così): per noi il teatro di CB è un'idea artistica fra le molte, per il genio il teatro di CB impone continuamente di dire sì al suo teatro e no a tutto il resto. Proprio per questo CB ci insegna che non esiste arte come oggetto-etico, come preambolo alla morale. Difatti: «Bisogna essere dei capolavori vivente».
Ciao e grazie a te per gli spunti di riflessione che offri
«Non è peccato essere omosessuali, è peccato l'atto omosessuale» (DonGianniBudgetBozzo)
Edited by - DonBudgetBozzo on 20/12/2006 14:41:01 |
digiu |
Inserito il - 20/12/2006 : 12:08:05 quote:
Dunque, innanzitutto vorrei precisare che per me l'ammodernamento tecnico del mezzo cinematografico è strettamente connesso al marketing, ergo il fine economico. Anche Kubrick ne sa qualcosa, credimi. Non a caso i film di Kubrick sono stati e sono dei capolavori assoluti ma sono anche delle consistenti fonti di guadagno.
Mi pare che nessuno in questo 3d abbia sostenuto che Kubrick fosse un fiasco al botteghino. Il punto saliente al contrario è un altro: Kubrick ha certamente realizzato dei film che potessero andare incontro a un pubblico (ogni forma di spettacolo sia teatrale che cinematografica deve tenere conto della comunicazione e della percezione da parte di un pubblico), MA non ha mai ad esempio scelto una inquadratura o una soluzione scenica avendo in mente il guadagno! Ecco la differenza.
Ciò che evidenziavo, in maniera forse fin troppo stereotipata (al fine di rendermi comprensibile ai più) nei miei precedenti interventi, invece è il problema del 95% delle produzioni oggi che partono sin dalla culla come risposta ad un sondaggio di mercato e generano ovviamente film che s'inscrivono plenariamente nei filoni e generi abusati (cliché che io ho chiamato: "codificazione di ricette di successo")
quote: In secondo luogo tra ammodernamento tecnico e fine commerciale esiste la seguente relazione: ammodernare spesso significa compiere unduplice movimento: distruttivo (nella misura in cui annulla le concezioni estetiche pregresse);
Questo mi pare falso. Nessun ammodernamento tecnico ha distrutto le concezioni estetiche pregresse! Semmai via via vi si è avvicendato: è successo così perfino per i cambiamenti più consistenti e con riflussi non indifferenti: il passaggio dal bn alla matrice a due colori (senza il blu), poi a quella a tre colori e ciononostante si è continuato a produrre film in b/n e se ne continuano a produrre oggi; oggi si produce perfino Mister Bean che non usa il sonoro eppure ottiene successo, segno che nessun senso estetico pregresso è stato soppiantato, ma che semplicemente sono state ampliate le possibilità.
Come hai giustamente affermato: il cinema s'è trasformato n volte nel corso della sua pur recente storia, eppure parlando di concezioni estetiche (per usare la tua definizione) nulla ha distrutto nulla, si è assistito a passaggi...e questo è dimostrato film alla mano. Un esempio divertente e singolare lo trovi per esempio nella lezione video di M.Scorsese sul cinema americano, dove tra le tante cose si analizzano alcune pellicole e di come alcuni maestri gestirono le 'migliorie' tecniche con piccoli artifici di 'resistenza': Elia Kazan ne la valle dell'Eden ad es. usava creare cornici interne all'inquadratura (porte semichiuse, corridoi ecc.) per eludere il formato panoramico (cinemascope). Se non è passaggio graduale questo...
quote: dov'è - dicevo - l'intrusione del fine di lucro in questo? Nel fatto, ad esempio, che nel venire incontro ad esigenze commerciali, molte opere cinematografiche, con la scoperta del suono, imposero lo strumento della parola oltre ogni espressività dell'immagine, concezione estetica, tensione etica fin lì acquisita dal cinema muto, che difatti venne distrutto.
A me piace parlare di storia del cinema film alla mano: prendiamo ad es. il grande dittatore di Chaplin. E' un film indicato per affrontare la questione perché appunto Chaplin è stato uno dei maestri del muto e invece questa sua opera è in sonoro. Ebbene questo film dimostra l'esatto contrario di ciò che hai affermato sopra: il sonoro non ha soppiantato alcuna espressività estetica del muto, anzi una delle sequenze citate più spesso è quella del discorso di Hitler o delle 'prime esperienze di guerra' del barbiere: in entrambe le sequenze si ha perfetta fusione del sonoro e della mimica del corpo, quindi del nuovo e del vecchio.
Aver saputo utilizzare quelle tecniche a cavallo tra due mondi, come fece Chaplin, è arte...ed è arte a maggior ragione perché lo fece in una maniera comprensibile al più vasto pubblico. Cosa che dovrebbe farci riflettere sul fatto che non è il pubblico di massa ad aver boicottato l'arte, ma è il tentativo -a monte, da parte dei produttori- di codificare qualcosa di artisticamente e commercialmente riuscito onde riprodurlo in fotocopia ad aver guastato il gusto collettivo e l'idea del cinema come espressione di estetica e di pensiero.
quote: Buster Keaton ne fece le spese.
Leggendo un saggio di cui ahimé non riesco a ricordare il titolo per riportarti la fonte (me ne scuso), ma la notizia mi pare confortata (se non erro) dallo stesso Scorsese nella lezione menzionata sopra: Buster Keaton fu imbrigliato dai contratti di produzione con la MGM; infatti i numerosi vincoli impostigli sul set inficiarono il suo genio (e questo porterebbe acqua al mio mulino: il pesce puzza sempre dalla testa, i produttori...) Per esempio, vent'anni dopo il monsieur Hulot di Jacques Tati (maestro del mimo) ebbe successo, segno che non furono né i tempi né le innovazioni tecniche o i cambiamenti dell'estetica dominante(!?) a far crollare Keaton.
quote: Arte, cosa significa arte?[...] Ma difatti l'arte non ha grammatica, linguaggio, l'arte non è, è uno sguardo aperto sul nulla. L'arte - se vuole essere veramente tale - deve persistere nel corpo, nel sangue e nello sperma, non cristallizzarsi nei cieli dell'idea. Esistere eternamente nella sua meraviglia.
Sull'arte hai scritto molte cose che condivido in pieno. C'è un verso di una beffarda canzone di Paolo Conte che dice: "è gente per cui l'arte sta nei musei". (Sijamdicandapaje, che in astigiano suona 'siamo cani di paglia'). Ebbene sono d'accordo con te non tutta l'arte sta nei musei, non tutta l'arte si può cristallizzare in un'istantanea che spieghi o critichi il perché e il percome. Sebbene spiegare i motivi dell'arte sia un esercizio che reputo interessante.
Tornando su altre affermazioni invece non sono d'accordo (per evitare equivoci: niente di personale, non credo di avere ricette né sono convinto della giustezza di ciò che dico, ma solo della bontà e della genuinità delle mie riflessioni), per puro spirito dialettico:
1. Ogni forma d'arte ha un suo linguaggio e una sua grammatica specifica. Non consideriamo le singole opere, ma grossolonamente prendiamo ad esempio i movimenti: chessò Picasso e Braque e quello che oggi definiamo cubismo...hanno un loro linguaggio all'interno di loro grammatiche (che potremmo chiamarle 'prospettiva' e 'pittura'), così pure gli impressionisti, gli espressionisti...ecc. Persino le avanguardie hanno i loro manifesti, i loro linguaggi, le loro grammatiche. Persino Keith Haring, o la pop art oggi possono essere incasellate in qualcosa, laddove essere inquadrate e spiegate non significa che esse si siano prefisse regole (l'arte gode delle piccole infrazioni), ma che abbiano scelto una maniera specifica (un linguaggio) all'interno di una grammatica più grande, per far passare un messaggio, uno sberleffo, una idea.
2. Dici bene con l'esempio di Carmelo Bene: la sua è una idea radicale, ma pur sempre una idea (un modo di concepire e realizzare l'arte teatrale e in ispecie il ruolo dell'attore) tra le tante, come del resto è sempre stato nella storia dell'arte. Diversi modi di interpretare, esprimere e produrre quella che poi noi (NON LO STATO!!) chiamiamo internazionalmente arte.
grazie della discussione stimolante, digiu.
Edited by - digiu on 20/12/2006 12:21:43 |
DonBudgetBozzo |
Inserito il - 19/12/2006 : 22:45:40 Tentando di rispondere brevemente ai diversi punti che tu esponi. Dunque, innanzitutto vorrei precisare che per me l'ammodernamento tecnico del mezzo cinematografico è strettamente connesso al marketing, ergo il fine economico. Anche Kubrick ne sa qualcosa, credimi. Non a caso i film di Kubrick sono stati e sono dei capolavori assoluti ma sono anche delle consistenti fonti di guadagno. Bisognerebbe spergiurare su questo? Anche perché, in ultima istanza, non è il mercato (che si limita a ridistribuire) ad essere posto a garanzia del tasso artistico di un'opera d'arte, ma il livello culturale degli spettatori stessi e la bravura dell'artista. In secondo luogo tra ammodernamento tecnico e fine commerciale esiste la seguente relazione: ammodernare spesso significa compiere unduplice movimento: distruttivo (nella misura in cui annulla le concezioni estetiche pregresse); costruttivo (nella misura in cui impone o tenta di farlo un nuovo gusto). Dov'è l'intrusione del commercio e della produzione (che non sono le produzioni ma è un particolare tipo di produzione che tenta di imporsi all'attenzione del bacino di spettatori il più vasto possibile) dov'è - dicevo - l'intrusione del fine di lucro in questo? Nel fatto, ad esempio, che nel venire incontro ad esigenze commerciali, molte opere cinematografiche, con la scoperta del suono, imposero lo strumento della parola oltre ogni espressività dell'immagine, concezione estetica, tensione etica fin lì acquisita dal cinema muto, che difatti venne distrutto. Il cinema sonoro non è il perfezionamento del cinema muto ma ne è in primo luogo l'adulterazione e la devastazione. La concezione visiva e immaginifica fu declassata alla dialettica campo/controcampo mentre il suono divenne un'entità onnicomprensiva. Buster Keaton ne fece le spese. Per finire. Arte, cosa significa arte? La vera opera d'arte - se veramente è tale - non cerca di riflettersi nella sua grammatica e di parlare nel suo proprio linguaggio. Cerca il suo aldilà: l'aldilà dell'arte. Il superamento. Il dire «arte» non si riferisce all'arte stessa (che in quanto tale non è mai esistita come unità di valore). Perché? Perché nel dirlo siamo già al di fuori dell'arte ma entro i modi di dire arte. «Arte» significa esser detta. Da chi? Dallo stato! É lo stato (democratico?) che fagocita e ed assume il codice-arte per definire una delle sue attribuzioni fondamentali: l'inclusività. L'apertura del valore a quante più persone possibile e contemporaneamente l'aprirsi al valore il più possibile, di modo da esperire nuove forme di coazione che non siano quelle propriamente repressive. Ma difatti l'arte non ha grammatica, linguaggio, l'arte non è, è uno sguardo aperto sul nulla. L'arte - se vuole essere veramente tale - deve persistere nel corpo, nel sangue e nello sperma, non cristallizzarsi nei cieli dell'idea. Esistere eternamente nella sua meraviglia. É lo stesso motivo per cui Carmelo Bene «non si può fare teatro con il teatro». O quello di Carmelo Bene è grande teatro allora tutto quello che si è vissuto precedentemente non lo era, oppure quello che è stato era grande teatro allora quello di Carmelo Bene non è teatro. Ad ogni modo l'argomento è spinoso e complesso e mi rendo conto non possa essere estinto in un post.
Ciao
«Non è peccato essere omosessuali, è peccato l'atto omosessuale» (DonGianniBudgetBozzo) |
digiu |
Inserito il - 19/12/2006 : 19:34:08 quote:
C'è mai stato un tempo del cinema? Si è mai data una nascita autonoma del cinema? Molti parrucconi-animi sensibili-menti avanzate ne avevano decretato la fine già con l'avvento del sonoro (che fine avrebbe fatto la sacralità dell'immagine? E le inquadrature? Il montaggio?);[...]
Secondo me hai scritto alcune riflessioni molto giuste e condivisibili, però nel complesso l'intervento mi pare confuso. Tendi a mettere sullo stesso piano, bollandolo con "esercizio di passatismo", alcune convenzioni inerenti gli ammodernamenti tecnici della macchina cinematografica (il montaggio, il colore, il cinemascope ecc) con la critica verso la commercialità dell'odierna produzione cinematografica.
Punto 1. Giusto per sgomberare il campo mettiamolo in chiaro; esempio tra i miliardi possibili: Stanley Kubrick fu uno tra i primi ad avvalersi del computer per la realizzazione di molte sequenze di 2001 o di obbiettivi speciali appositamente concepiti per le estreme condizioni di luce (sole candele) in Barry Lyndon, e in ambedue i casi sia io che Biuso riteniamo questi film capolavori, anzi i capolavori, senza alcuna riserva. Nondimeno, per esempio, la fotografia viene considerata un genere artistico nell'epoca della riproducibilità tecnica, altrettanto - come ricordò F.Ford Coppola in una splendida videointervista - l'impiego del computer nel cinema non ha impedito anzi ha aiutato il cinema ad affrancarsi da alcuni limiti tecnici e diventare un'arte a tutti gli effetti. Ma su questo suppongo possiamo dirci unanimemente d'accordo, soltanto ho ritenuto di precisarlo perché mi pare del tutto svincolato dal punto secondo.
Punto 2. Almeno il 50% delle produzioni cinematografiche oggi può considerarsi arte, ossia contiene qualcuno degli aspetti seguenti: originalità, indagine profonda, senso della meraviglia (non solo li contiene ma li articola in un linguaggio proprio, secondo le regole della grammatica cinematografica)? La risposta, e mi duole molto esprimerla in un numero, sarebbe: probabilmente nemmeno il 95%!
Ad ogni modo il succo non è soltanto notare che abbia avuto luogo una deviazione, il punto è altresì comprendere il come e il dove ciò sia accaduto. La mia grossolana diagnosi, accennata peraltro nell'invito conclusivo del precedente intervento in questo thread, è che probabilmente seguendo la regola del marketing si è voluto selezionare e codificare talune ricette di successo (perlopiù quella della hollywood dai fasti fino alla metà dei settanta, ma anche certo neorealismo, certa fiction ecc.) onde poterle replicare al meglio. La meccanicità latente che questa spirale omologante e distruttiva ha imposto, sebbene fosse ispirata da ibridi artistici (Wilder, Curtiz, Penn ecc.) ha finito negli ultimi decenni per generare trasformazioni che l'hanno quasi del tutto spogliata anche soltanto dell'idea artistica. Spogliarsi della cosiddetta idea artistica equivale a disperdere la volontà e il gusto per quello che è lo specifico artistico: toccare i sensi ben al di là delle parole e dei suoni (grazie! per il quote da Diorama Letterario), anzitutto con la visione.
E chissà che il cancro non sia ancora più vasto: Giuseppe Genna in un post tangente rispetto a questo argomento, in occasione della recente Mostra veneziana ha lanciato un allarme a riguardo...
--- (tratto da http://www.carmillaonline.com/archives/2006/09/001928.html#001928) Cosa emerge, in definitiva dalla Mostra di Venezia? Emerge a mio parere che l'attuale finzione è finita, che l'occidente è incapace di narrare, che esso concepisce le storie come puro racconto lineare e non coglie l'immensa profondità (mitopoietica, allegorica, di semplice incanto) che è racchiusa negli scrigni delle storie stesse. Emerge che o si cambia marcia - non solo al cinema, ma in qualunque arte - oppure ci troveremo nella situazione di osservare lo zoo piccolino degli artisti resistenti che si beano dello Stile e cincischiano con il narcisismo di chi a torto si autopercepisce come "resistente" rispetto a una realtà che è totalmente incapace di includere nelle sue retoriche. Perché non si tratta di un problema di realtà, anche se c'è un problema di realtà: l'occidentale, e l'artista occidentale medio e mediocre soprattutto, non coglie più il tragico perché ritiene il proprio presente un tempo non tragico (al massimo, la tragedia è la crisi dei quaranta-cinquantenni...), mentre in verità siamo nell'occhio del ciclone tragico. Si tratta soprattutto di un problema di immaginario da ricostruire completamente. Sarò più radicalmente bologico: qui bisogna rialfabetizzare rispetto alla semplice percezione: il benessere ha permesso che la percezione delle cose e dell'umano si volatilizzasse, a vantaggio di una melma che si regge su finti canoni tradizionali, su ipse dixit che vengono apparentemente negati e poi sono bellamente spiattellati in faccia a chi cerca nuovi sentieri, a chi prova a fare (cioè rifare) la Nuova Cosa che attende di essere trascinata nel mondo per immagini, parole, suoni, voci, sguardi, ritmi, pensieri, silenzi, assenza di pensieri.
Come auspica Biuso la speranza è in un futuro rigetto di ritorno che faccia piazza pulita di questa sporcizia per restituirci, seduti dentro una sala buia, il gusto di accendere di nuovo i sensi, la testa, il cuore.
digiu.
Edited by - digiu on 19/12/2006 20:43:08 |
DonBudgetBozzo |
Inserito il - 19/12/2006 : 17:04:49 C'è mai stato un tempo del cinema? Si è mai data una nascita autonoma del cinema? Molti parrucconi-animi sensibili-menti avanzate ne avevano decretato la fine già con l'avvento del sonoro (che fine avrebbe fatto la sacralità dell'immagine? E le inquadrature? Il montaggio?); successivamente gli stessi soliti noti si erano impuntati sul diffondersi a macchia di leopardo del colore (montaggio appesantito? Ci sarà bisogno di una dieta...). Alcuni il cinema non l'avevano proprio fatto nascere: «che forma d'arte plebea!». L'esercizio del passatismo, la nostalgia del puro e incontaminato (ma dov'è?), la ricerca dell'essere perduto, il cinema come ricerca dell'identico o come accordo con il già dato, stato. L'urlo a vuoto è una dolce abitudine della nostra cultura, forse tra le tante la più benpensante e perbenista che si possa immaginare. La verità è che il cinema si è trasformato, è decaduto, è morto mille volte, è rinato in forme e tensioni nuove, si è dissolto in mille rivoli. Prima di interrogarsi sul mercato e sulla produzione forse varrebbe la pena interrogarsi sui critici e i lustrini, sui festival e le feste. Su tutti questi monumenti innalzati al nulla, affinché il nulla diventi tutto e nel diventar tutto trovi una sua collocazione e un suo senso. Non è il fermento mercantilistico della diffusione e della diffusione onnivora a decretare la fine di alcunché, è ben oltre il male. E' l'esigenza statale di offrire una codificazione a qualsiasi fenomeno culturale, condannandolo alla conservazione arteriosclerotica di sé. Innalzandolo ad emblema delle democratiche virtù. L'estetica dell'impiegato pubblico che va a nozze con la presentazione del Festival del cinema di Cannes. Infine chi, se non proprio Billy Wilder, ci ha parlato del tramonto del cinema in termini tanto angoscianti e disperati. Viale del Tramonto risuona ancora oggi come un urlo folle e disturbante. Perversione, decadenza, pianto, morte. «...una volta era grande» «lo sono ancora, è il cinema che è diventato piccolo».
Ciao
«Non è peccato essere omosessuali, è peccato l'atto omosessuale» (DonGianniBudgetBozzo) |
Biuso |
Inserito il - 18/12/2006 : 18:50:01 Grazie, Giovanni. Il tuo è probabilmente l’intervento più prezioso che sia finora apparso in questa sezione. Perché mostra un amore totale per il cinema e insieme la consapevolezza della sua metamorfosi e, forse, del suo tradimento/tramonto.
Ho letto delle riflessioni molto vicine alle tue sul numero 279 di Diorama letterario, in un articolo dal titolo Il cinema è morto? (pagg. 1-2). L’Autore è il filosofo francese Alain de Benoist, il quale osserva giustamente che il cinema è fatto anzitutto di immagini e non di parole e di suoni. Immagini il cui significato non sta nel descrivere la realtà/verità –le varie forme di neorealismo o sociologismo cinematografico- bensì nel «mettere le cose in discussione». La scelta dell’una o dell’altra inquadratura, la tecnica con la quale le immagini vengono pensate, costruite e montate, non è mai –infatti- neutrale e oggettiva ma è sempre veicolo di una ben precisa visione delle cose e dell’umano.
A partire da tale consapevolezza, la diagnosi di de Benoist sembra non lasciare scampo:
«Ci sono sempre, beninteso, dei buoni film al giorno d’oggi –e a volte anche dei capolavori-, ma è chiaro che il tempo del cinema è passato. In primo luogo perché esso può ormai essere consumato a casa, il che fa sì che non sia più né un luogo d’incontro né un vettore sociale (…) Un film che si può vedere sul proprio telefonino portatile, semplicemente, non è più un film. (…) Il cinema non è più altro che immagini perdute nel flusso delle immagini veicolate dai media. Il cinema, diceva François Malraux, è stato in ogni epoca un’arte e un’industria. Fra questi due poli, rappresentati dal regista e dal produttore, si è instaurata ben presto una tensione, che oggi si è risolta a favore quasi esclusivamente del secondo».
Diventato il cinema quasi soltanto una merce,
«ai nostri giorni, a decidere dei contenuti di un film sono sempre più coloro che ne pagano la pubblicità (…) Sotto la triplice deleteria influenza della tecnica (gli effetti speciali), del clip pubblicitario e degli stereotipi del fumetto, la maggior parte dei film si rivolgono a spettatori, in maggior parte giovani, che strutturano la propria esistenza con gli stessi criteri con cui fanno zapping con il telecomando (…) Infine, il cinema –che sia volgare o intellettuale, grassamente “popolare” o pretenziosamente “elitario”- svolge oggi essenzialmente una funzione di legittimazione, compiacente e oscena, dell’ideologia dominante. Benché accumuli a piacimento le provocazioni, non disturba più, non pone più interrogativi perché è in consonanza con i valori del tempo e la sua unica preoccupazione è perpetuarli. Certo, ci si può chiedere se il cinema sia mai stato in grado di sovvertire il disordine costituito (la risposta non è scontata). Fatto sta che oggi esso è fondamentalmente perbene e benpensante».
Nonostante tutto, comunque, di film che fanno pensare ne ho visti anche di recente. Il cinema è uno strumento troppo complesso e profondo per ridursi a semplice veicolo commercial-ideologico. Almeno, è quello che spero.
agb «Il tempo sembra essere presente in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo» (Aristotele)
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