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 Gerusalemme Liberata

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Cateno Inserito il - 03/07/2006 : 16:36:30
Tra i tanti impegni che hanno reso rada la mia partecipazione ai forum (e che addirittura mi hanno fatto sognare il prof Biuso che mi rimprovera per la scarsa presenza!) ve ne sono stati alcuni piacevoli e stimolanti. Tra questi v’è stata la lettura della Gerusalemme liberata.
Devo, per cominciare, farvi una confessione: durante la lettura del poema mi sono innamorato più volte. Già, perchè se c’è qualcosa del poema tassiano che mi piace più di tutto il resto è sicuramente la descrizione delle bellezze femminili. Sì, ci sono meravigliose e dolci descrizioni paesaggistiche, somiglianti a primordiali giardini paradisiaci (ad esempio il regno di Armida), fulminanti e macabre scene di guerre e duelli (che saranno mai i trhiller odierni?), ampie visuali e poi improvvisi primi piani (io credo che il Tasso sia uno dei più grandi registi di sempre), idilli, solitudini e sconfortanti ed amare riflessioni sulla vanità delle glorie terrestri (per questi ultimi aspetti si guardi alla grandezza sconfitta di Solimano); tuttavia io credo che la perizia poetica, del resto pur poche volte offuscate da elencazioni geografiche o narrazioni prolisse, dunque l’estrema perizia poetica del tormentato Torquato rifulga pienamente in ottave magicamente sospese tra il bello ideale e la carnalità dei sensi.
Mi basta davvero poco per innamorarmi! Ad esempio, mi sono perdutamente innamorato di Sofronia: la vergine cristiana residente a Gerusalemme che si immola innocente e pura per salvare gli altri cristiani dalle furie di Aladino; e se già mi fece girare la testa la seguente ottava: “La vergine tra ‘l vulgo uscì soletta, | non coprì sue bellezze, e non l’espose, | raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta, | con ischive maniere e generose. | Non sai ben dir s’adorna o se negletta, | se caso od arte il bel volto compose. | Di natura, d’Amor, de’ cieli amici | le negligenze sue sono artifici.” (II, 18); bastarono due soli versi a lasciarmi a bocca aperta a contemplare estasiato la mai veduta donna: “e smarrisce il bel volto in un colore | che non è pallidezza, ma candore” (II, 26, 7-8).
Poi mi innamorai di Armida, la quale è subdola ammaliatrice di uomini, espertissima nell’usare ogni arte per ammaliare, incantare, innamorare. E che dire di come Tasso descrive la tragica passione della maga, Armida, innamorata del valoroso Rinaldo? Se davvero la psicologia è nell’alta letteratura, qui ne abbiamo un esempio altissimo: Armida, prima seduttrice ingannevole, poi amante che avvince a sé Rinaldo con ogni molle arte, quindi vendicativa e insicura una volta rifiutata per votarsi all’odio ed al tentativo di suicidio all’irrimediabile sconfitta; infine sottomessa all’amato: “Ecco l’ancilla tua; d’essa a tuo senno | dispon, – gli disse – e le fia legge il cenno” (XX, 136, 7-8).
Lo stile di Tasso è pieghevole, chiaro, dolce; mi pare di poter scorgere una sottile trama che da Petrarca passa per Tasso e, sì, Michelangelo, giungendo fino a Leopardi. Tasso è un petrarchista consumato (beh, a quel tempo era abbastanza normale) e lo dimostra bene, anche se non infrequenti sono le citazioni dantesche. Ed in fondo mi pare che nel suo poema ci siano tante piccole personali divine commedie, storie di conversione, di eroi, di poveri diavoli, di sangue e di vanità, cosiccome di bellezza e purezza. Unico personaggio incorrotto, dall’inizio alla fine (a parte Pietro l’Eremita che comunque non mi pare avere uno spessore psicologico che vada al di là del ruolo, come dire, istituzionale), dunque, il personaggio che rappresenta una sorta di alter ego positivo del poeta, di riferimento e meta, è Goffredo, il pio Buglione, capitano sicuro e saggio, certo e mai in fallo nel comando e nella fede; colui che fedelmente e religiosamente fa voto nel primo canto e lo scioglie nell’ultima ottava del poema, quando, ancora grondante di sangue e sudore, stanco e col sole che sta per tramontare, e “qui devoto | il gran Sepolcro adora e scioglie il voto” (XX, 144, 7-8).
Spero di essere stato breve ed esaustivo, per quanto possibile. Vi saluto affettuosamente tutti e torno a dedicarmi alla fatica del concetto: la follia estiva mi ha portato a gettarmi sulla Fenomenologia dello Spirito!

A presto!


Finché non lo fai tuo,/ questo "muori e diventa",/ non sei che uno straniero ottenebrato/ sopra la terra scura. (J. W. Goethe)

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