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 L'eterno ritorno

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Cateno Inserito il - 05/05/2006 : 16:47:53
Salve a tutti! Ritorno con un intervento-fiume... è un po' lungo, anzi più di un po'... spero che lo leggiate lo stesso con interesse. A presto!



Ben poche intuizioni filosofiche mi sembrano tanto affascinanti e sfuggenti come quella dell’eterno ritorno. A queste parole uno studente di filosofia salta dalla sedia ed esclama: «Nietzsche!». Certamente: Nietzsche. Tuttavia, come sapete, l’eterno ritorno è una dottrina che, come del resto quasi tutte le altre, ci proviene dall’antichità. Il ritorno delle stagioni, in un tempo infinito, è eterno; cosiccome l’alternarsi di giorno e notte. Ebbene, il ritorno delle stagioni non è che il modello dell’eterno volgere degli astri, dell’intero kosmos che, compiuto e sferico, ripercorre ininterrottamente una circolarità perenne ed uguale. Potremmo dire che nella dottrina di questo eterno ritorno, almeno per chi la credeva vera, risiede pure il segreto dell’identità: una cosa è identica con se stessa e quindi con un'altra, solo perché ritorna eternamente ad essere se stessa. In termini moderni potremmo anche dire che io sono cosciente di me medesimo, ho autocoscienza, solo perché eternamente ritorno ad essere me stesso.
Che tutto ritorni significa parimenti che, in senso lato, nulla passa; se infatti una certa cosa, un mio vissuto, un alito di vento, questo mio ticchettare sui tasti di un calcolatore, se tutte queste situazioni debbono infinitamente ripetersi, allora basta che accadano una sola volta per fissarsi eternamente e non svanire mai.
L’atomismo diede più compiuta formulazione ad una simile ciclicità e precisamente in questa maniera: se il numero degli atomi è finito ed immutabile e se le combinazioni degli atomi sono finite (dacché le combinazioni tra unità finite sono sempre anch’esse finite) e se il tempo è infinito, allora le possibili combinazioni tra gli atomi ad un certo momento cesseranno, si esauriranno, per ripetersi daccapo, ugualmente ed infinitamente.
Tuttavia, questa tesi ha uno sfondo determinista che suona pressappoco così: ogni causa ha un effetto; date due cause perfettamente uguali, gli effetti non possono essere diversi.
Difatti, al di là del determinismo, si potrebbe obiettare così: anche ammesso che le combinazioni possibili tra gli atomi siano finite in un tempo infinito, chi ha detto che ad una combinazione ne dovrà seguire conseguentemente un’altra? In altre parole, se ad A1, che è la combinazione degli atomi al tempo T1, succede B1; chi ha detto che ad A2, che è la combinazione degli atomi al tempo T2 (dopo che si sono consumate tutte le possibili combinazioni una prima volta) e che è una combinazione di atomi perfettamente uguale ad A1, debba succedere una combinazione uguale a B1? Può affermare questo solo un presupposto determinista.
In aggiunta, se A2 è identico ad A1, possiamo trarre due possibili conclusioni: la prima è che non c’è bisogno di distinguere A1 da A2, giacché sono perfettamente uguali; ma allora neanche il tempo può dirsi infinito! Se si dovessero ripetere le stesse identiche combinazioni, allora anche il tempo si ripeterebbe sempre uguale, con le stesse successioni, e non avremmo più un tempo infinito, ma un tempo che ripetendosi ciclicamente sarebbe sempre uguale a se stesso e perciò finito, in quanto comincia, finisce e ricomincia da capo; in questa ipotesi il tempo è visto come inscindibile dai fenomeni, anzi intrinseco ad essi.
Altrimenti si deve sostenere che il tempo è un inerte contenitore in cui le cose semplicemente accadono. Ma se concediamo questo, allora giungiamo alla seconda possibile conclusione di cui dicevo prima: se, dunque, il tempo è solo un contenitore in cui le combinazioni di atomi si succedono, allora non si ha nessun eterno ritorno, perché si possono numerare le combinazioni di atomi; in fondo è come facciamo coi numeri: le cifre sono finite; quando finisco ne aggiungiamo una davanti e proseguiamo la numerazione che così può reiterarsi indeterminatamente. Facciamo un esempio: le cifre vanno da 0 a 9; quando conto fino a 9, ricomincio da capo mettendo davanti un 1 alle cifre già una volta elencate; quando finiscono anche queste, a 1 sostituisco 2 e così via. Ebbene, se in un tempo infinito numero le combinazioni possibili (umanamente impossibile da farsi, ma non in via ipotetica), quando esse finiscono io aggiungo 1 davanti; in questo modo le combinazioni potrebbero ripetersi uguali, tranne che per il fatto che hanno un 1 davanti, che indica la ripetizione. Così non si ha un eterno ritorno: le combinazioni possono anche ripetersi struttivamente uguali, ma non identiche.
Con ciò un eterno ritorno fondato sul determinismo pare davvero insostenibile.
La confutazione dell’eterno ritorno inteso in questi termini, però, può trovare anche altre motivazioni; per esempio Agostino diceva ridicola questa dottrina perché gli pareva impossibile che Gesù facesse il fenomeno da baraccone su e giù dalla croce. Borges ancora una volta centra il punto: «I commiati e i suicidi perdono la loro dignità se si ripetono spesso» (da La dottrina dei cicli, in Storia dell’eternità). Tuttavia l’eterno ritorno conserva sempre forti connotazioni etiche. Infatti, nelle prime pagine de L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milan Kundera sostiene che i drammi del genocidio degli ebrei ad opera del nazismo hanno una gravità ancora maggiore se si ripetono infinitamente per l’eternità. Allora tutto acquista un peso, nulla può essere dimenticato, ogni singola azione di ogni singola persona è determinante.
Nietzsche, che costituisce lo sfondo del discorso di Kundera, pare sostenere una cosa diversa (così lo studente di filosofia è rassicurato). Cominciamo, però, col ricordare quanto sosteneva Borges a proposito di Nietzsche e del suo eterno ritorno. Egli, a mio modo di vedere, è abbastanza ambiguo quando parla dell’eterno ritorno di Nietzsche, giacché a volte mostra di credere che il tedesco si allineasse alla concezione atomista di un numero finito di combinazioni tra atomi, sennonché Nietzsche nega gli atomi e sostituisce ad essi una energia infinita; altre volte si avvede del fatto che «Nietzsche, nel 1874, si burlò della tesi pitagorica che la storia si ripete ciclicamente» (in una nota al testo del già citato La dottrina dei cicli); infine riporta passi di Nietzsche in cui si dà una lettura dell’eterno ritorno in chiave esplicitamente morale, ossia: «Basta che la dottrina della ripetizione circolare sia probabile o possibile. L’immagine di una possibilità ci può scuotere e rifare»; oppure: «Nell’istante in cui si presenta quell’idea, cambiano tutti i colori – e c’è un’altra storia».
Il problema, visto pure da Borges, rimane in sostanza questo, e cioè: pure se dovesse verificarsi l’eterno ritorno (anche nella forma determinista e atomista), se io non ne conservo memoria, c’è differenza alcuna che un fatto avvenga una volta sola, oppure diecimila, oppure (al di là della mia singola esistenza) nessuna? Che differenza fa, se io non ricordo le precedenti volte, se io vivo una determinata circostanza la prima o la tredicimilesima volta?
Ma cerchiamo di comprendere bene l’eterno ritorno nietzscheano. Esso si trova annunciato nell’aforisma 341 de La gaia scienza, subito prima dell’aforisma che annuncia il tramonto di Zarathustra. Cosa accadrebbe se un demone ci dicesse che la nostra esistenza si ripeterà innumerevoli altre volte, con tutte le bassezze, le gioie, i dolori, i piaceri, le morti dei cari, l’inizio e la fine di un amore, con tutto ma proprio tutto nella stessa identica successione? Solo chi ha vissuto un attimo di immensità può dire che quel demone è un dio e può essere disposto, anzi felici di ripetere la propria esistenza; può essere cioè felice di esistere!
Ne La visione e l’enigma Zarathustra si trova di fronte ad una porta dalla quale si dipartono due strade: una che va eternamente indietro, l’altra eternamente avanti; sulla porta sta scritto: «attimo». Emerge che il riferimento costante dell’eterno ritorno, come pare ovvio, è il tempo. Ma forse la differenza sostanziale tra la dottrina atomista e quella nietzscheana è che il tempo degli atomisti è necessariamente, come dire, impersonale; è un tempo che c’è, che al limite è intrinseco ai fenomeni. Ma il tempo dell’eterno ritorno di Nietzsche è estremamente personale, esistenziale (per usare un termine alla moda); l’eterno ritorno è un fatto intimo: è il tempo che si fa carne ed interroga l’uomo. Non mi sorprenderei se il demone dell’aforisma 341 fosse il tempo stesso. La risoluzione dell’intera circolarità del tempo è sulla soglia dell’attimo. Certo, in questa interpretazione che pare troppo heideggeriana, è forse in gioco qualcosa di più di quanto si possa credere: è in gioco la stessa felicità di esistere. Il serpente che morde alla gola può essere estirpato solo strappandogli con un morso la testa: il coraggio di esistere deve gridare sempre: «Sì, di nuovo!». Zarathustra è pronto a morire, a vivere… non importa! È pronto ad essere quello che è.
Un tempo che infinitamente scorre in una direzione è privo di senso, perché scompariamo in lui; parimenti, un tempo che si ripete circolarmente è lo stesso privo di senso, perché (a parte quello che abbiamo visto più sopra, cioè la mancanza di memoria che ne avremmo) saremmo condannati ad essere semplici spettatori della vita.
Ma la dottrina dell’eterno ritorno di Nietzsche indica la via per una necessità che libera e dona senso: la sola possibile idea di un eterno ritorno (ch’io ne conservi memoria o meno) dovrebbe rendere l’esistenza più piena, più vissuta, più temporalmente intensa. L’attimo è la porta vincolante da cui tutto deve passare, sia l’eternità che ci precede ed in cui tutto è già una volta ed immutabilmente accaduto, sia l’eternità che ci succederà in cui tutto accadrà ancora un volta necessariamente. La necessità è sapere che tutto è annodato, che tutto si avvolge attorno al tempo. Quest’ultimo non è determinista: un attimo non ne causa un altro. La vera necessità non è il rapporto causa/effetto, bensì il fatto che siamo tempo, che tutto è tempo. Allora il pensiero, e con esso l’esistenza, ritrova la felicità d’esistere e di osannare come un dio il demone, ossia il tempo; il pensiero ritrova una presocratica e spinoziana beatitudine.
Ancora una volta si può esclamare, seguendo l’annuncio di colui che non voleva discepoli, di quello Zarathustra che sapeva che il demone interpella personalmente, possiamo dunque esclamare: «Io ti amo, eternità!».


Io (scherzosamente):"Papà, ma perchè non diventi vegetariano?". Mio padre (serio): "Ormai non se ne trovano più verdure..."
2   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
utente non registrato Inserito il - 30/05/2006 : 12:52:29
Il discorso di Nietzsche intorno al tempo può avere interpretazione diverse...La carrellata storica, credo abbastanza esaustiva di Cateno, credo non abbia bisogno di precisazioni, semmaì di nuovi spunti su cui iniziare a riflettere sul pensatore tedesco.
Stimoli nuovi per una lettura forse originale del Nostro, mi giungono dall'interpretazione che propone Vattimo di tutto il percorso nietzschano; riguardo alla teoria dell'Eterno ritorno Vattimo suggerisce un rifiuto edipico del tempo: "La struttura sociale si mantiene e si sviluppa solo con la violenza mediante cui il passato assoggetta i nuovi membri di essa. Già in Umano troppo umano, Nietzsche individua la base della solidità dele istituzioni familiari e sociali solo nell'autorità di tipo "paterno" con cui esse pretendono l'entusiasmo del singolo.....quindi l'osservanza delle regole morali quando sembra contrastare con il nostro vntaggio immediato, è in realtà ispirata dal desiderio di essere lodati, accettati, approvati dagli altri membri della comunità entro cui si vive. Passato e autorità che limita vengono così ad identificarsi."

L'alternativa che propone Nietzsche invece è una visione Anti-edipica del tempo, un tempo senza padri e senza madri in cui "la volontà è creatività":costruzione originale, soggettiva, "di unità di significato, la libera produzione di simboli".

In breve per poterci liberare dalla malattia delle catene, non in maniera reattiva ma realmente rivoluzionaria, non basta la morte di Dio, ma "bisogna attaccare la struttura del tempo....Ciò che l'eterno ritorno nega non è tanto il tempo ma la struttura del dominio". La volontà deve poter nascere in un modo dove le circostanze esterne, il già-stato e già voluto ad opera di altri, non si impongano al singolo come limitazioni e negazioni della sua creatività.

Bè...Gadamer avrebbe molto da ridire su questa concezione di liberazione....



______
Dorotek82@hotmail.it
psiche Inserito il - 10/05/2006 : 17:59:43
"E quando ci domanderanno
che cosa stiamo facendo,
tu potrai rispondere loro:
Ricordiamo.
(...) perché, non c'era dubbio, essi erano ben là,
ad accertarsi che molte cose fossero al sicuro
dentro di loro.
Montag sentiva il lento rimuoversi delle parole,
il loro pigro ribollire"

(Ray Bradbury, Fahrenheit 451)



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