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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Cateno Inserito il - 11/04/2006 : 12:21:45
Dopo il semi-sollievo politico posso concedermi qaulche divagazione. Ovvero: pinsamu 'e fimmini, va...


A meno che non si sia seduttori, a nessuno è dato di comprendere l’atroce sofferenza che è il Don Giovanni stesso in tutte le sue forme, che siano audaci e trionfanti (almeno sulle fanciulle), come in Mozart e Kierkegaard, o che siano da quattro soldi e spesso deludenti, come me.
L’atroce sofferenza del seduttore è tutta qua: l’abbandono che dà il sapore della morte, la fuga che tenta di eludere la morte, il non volere guardare in faccia la morte. L’abbandono è tremendo, in entrambi i sensi in cui può essere inteso: l’abbandono di chi si innamora dispiace al seduttore, poiché egli ne è intimamente incapace; l’abbandonare, invece, l’innamorata è un segno evidente del trascorrere del tempo. È qualcosa che finisce.
Ecco, la dannazione del seduttore è data dal rapporto cursorio e superficiale con il tempo.
Vedere le vecchie amanti che si uniscono a tali altri è straziante per chi vorrebbe che tutte le porte rimanessero aperte. Ma le porte si chiudono a volte irrimediabilmente e sbattono sulla faccia di chi tenta di opporsi.
Il seduttore vive di possibilità. Per lui ogni cosa è possibile e perciò nulla è reale. Ma quando la possibilità decade, la realtà schiaccia il seduttore e acquista davvero i caratteri del terrore. Il seduttore è possibilità; la realtà è, perciò, altro da sé. La realtà è terribile perché autonoma. La realtà è alterità.
Il seduttore rimane ancorato alle possibilità. Il Don Giovanni di Mozart non si pente, non rinnega la propria vita, non si confronta con la realtà neanche di fronte alla morte; anzi, non si confronta con la realtà che è la stessa morte. Quando la mano di Don Giovanni stringe quella marmorea del Commendatore è il gelo. Non vi può essere calore. Sono due mondi che nel punto di contatto gelano. O meglio: la realtà gela la possibilità, ma non potendo nulla di fronte all’irremovibilità di Don Giovanni lo getta nelle fiamme. Ma in ogni caso la realtà ha la meglio.
Nel bel film di Bergman L’occhio del diavolo Don Giovanni è all’inferno, condannato a sedurre ogni giorno una fanciulla che inevitabilmente svanisce prima del possesso fisico. È una pena legittima. Il seduttore si trova di fronte alla realtà: la fanciulla svanisce perché in realtà egli non possiede nulla.
E forse il fascino che il seduttore esercita sulle fanciulle sta tutto qua, nel fatto, cioè, che le donne possano abbandonarsi del tutto senza, con ciò, essere realmente possedute. Qui le donne mostrano un aspetto davvero felino; ma di una felinità in ogni caso domestica.
Kierkegaard ha centrato il punto: «La natura di colui che lo scrisse [il diario del seduttore]; natura, per così dire, non abbastanza povera e non mai abbastanza ricca per potere distinguere con esattezza la poesia dalla realtà».
Quello del seduttore è un gioco, solo un gioco. Un gioco poetico, certo, ma dove la poesia è solo retorica fragilissima, costruzione metrica, musicale; dove non v’è posto per la squallida e terribile realtà.
Queste parole non possono avere una conclusione legittima, poiché la vira del seduttore, a meno che egli non si redima, rimane sempre tragicamente inconclusa.


Io (scherzosamente):"Papà, ma perchè non diventi vegetariano?". Mio padre (serio): "Ormai non se ne trovano più verdure..."

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