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 L'antro delle Ninfe

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Biuso Inserito il - 11/03/2008 : 23:29:48
Piccolo Teatro Studio - Milano
ODISSEA DOPPIO RITORNO. L'ANTRO DELLE NINFE
di Emanuele Trevi, da Omero e Porfirio
Con: Francesco Colella, Cristina Gardumi, Alessandro Genovesi, Marco Grossi, Giovanni Ludeno, Stefano Moretti, Raffaele Esposito, Elena Ghiaurov, Graziano Piazza, Massimo Di Michele, Michele Maccagno, Tatiana Lepore, Cristiano Nocera, Pierluigi Corallo
Regia di Luca Ronconi
Fino al 20 marzo 2008





«In capo alla baia c'è un ulivo frondoso, / e lì vicino un antro amabile, oscuro, / sacro alle ninfe che si chiamano Naiadi. / Dentro anfore stanno e crateri / di pietra; e là fanno il miele le api. / Telai di pietra vi sono, altissimi, dove le ninfe / tessono manti di porpora, stupore a vederli; / e vi sono acque perenni. L'antro ha due porte, / una da Borea, accessibile agli uomini; l'altra, dal Noto, è dei numi e per quella / non passano uomini, degli immortali è la via» (Odissea, XIII, 102-112, trad. di Rosa Calzecchi Onesti).

Da questi dieci versi omerici (che descrivono l'antro vicino al quale i Feaci deposero Odisseo dormiente al loro arrivo a Itaca) Porfirio trasse un'opera filosofica densa, nella quale allegoria, psicologia, mitografia si intrecciano a descrivere la vicenda e il destino delle anime/menti. È L'antro delle Ninfe, messo in scena da Luca Ronconi, in contemporanea (nel vicino Teatro Strehler) all'Itaca di Botho Strauss. Di quest'ultima opera ho potuto vedere solo la prima metà, a causa di un guasto tecnico ai sistemi di sicurezza. E ho trovato intrigante la Penelope ingrassata e scurrile che sa opporsi ai suoi pretendenti. Su tutto sembrava aleggiare la freddezza di una razionalità che non nega ma esalta gli antichi racconti.

La freddezza dell'Antro è invece d'altro genere e risulta dalla impossibilità di mettere in scena il discorso filosofico in genere e quello neoplatonico in particolare. Il testo di Porfirio è compatto e conseguente, mentre qui viene inevitabilmente distribuito tra le voci di molti, troppi attori. I grandi testi teatrali sono intrisi di filosofia ma rimangono drammaturgia. Mettere in scena direttamente un testo filosofico non pensato per il dialogo è invece operazione artificiosa, priva di senso. E infatti lo spettacolo è risultato pesante, incomprensibile, frammentario. Le parole di Omero fisicizzate sulla scena in oggetti tridimensionali hanno espresso efficacemente i lacerti di pensiero ai quali Ronconi ha ridotto il canto.

La comunicazione ha i propri codici, differenti. E tutti vanno rispettati. Questo spettacolo, invece, non rende un buon servigio né al teatro né alla filosofia. Esprime soltanto la Hybris alla quale si è ceduto. E conferma che i Greci sono e rimangono per noi inconoscibili, come di gente di un mondo davvero altro, i cui frammenti di filosofia possono essere recitati in una lezione o in un tempio, non a teatro.


agb
««Per lætitiam...intelligam passionem qua mens ad majorem perfectionem transit»
(Spinoza, Ethica, III, XI, Scholium)

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