V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Cateno |
Inserito il - 05/11/2007 : 18:47:31 Di contro al vortice di balli, affetti, lettere e pistole che è I dolori del giovane Werther, ne Le affinità elettive prevale il nitore dei paesaggi, il gesto plastico, la sobrietà delle proporzioni di personaggi che non solo sembrano tipi da ritratti classici, ma a volte espressamente lo sono (infatti, uno degli intrattenimenti più graditi dai protagonisti è vestirsi e posizionarsi in maniera tale da riprodurre esattamente un certo quadro, cfr. J. W. Goethe, Le affinità elettive, in Romanzi, Mondadori, Milano 1979, pagg. 681-683 e 692-694). Ma ancora più che dipinti, i personaggi paiono delle vere e proprie sculture, mai affannate nel gesto, sempre solenni e plastiche, quasi fossero create dal sapiente labor limae di Canova. Persino il gesto più affascinante, mistico, tenero di Ottilia, gesto di diniego che si ripete due volte, all’inizio ed alla fine ed al quale anche la passione di Edoardo deve cedere, è così soave e plastico da sembrare una statua che si muove, insomma una rediviva “persona” greca: «sollevò le mani e le strinse insieme, se le portò sul petto chinandosi un poco innanzi e guardò colui che l’incalzava di richieste [Edoardo che le aveva chiesto di cominciare una vita assieme], con uno sguardo tale ch’egli fu costretto a desistere da tutto ciò che poteva pretendere o desiderare» (ivi, pag. 773). Oltre questo ed oltre la mirabile simbologia, gli oggetti ricorrenti, la tragedia delle tre morti (il figlio di Edoardo e Carlotta che annega, Ottilia e infine Edoardo), oltre tutto questo, dunque, è la stupenda scenografia goethiana che la fa da padrona: l’arte e la natura si perfezionano l’un l’altra: ad esempio quando un passaggio è pressoché impraticabile, ecco allora che Carlotta ed il Capitano sistemano un sentiero, delle pietre per usufruire di una vista o per rendere più bello il tutto. Anche i tre stagni saranno unificati in un solo lago, proprio per perfezionare artificialmente la natura, in una maniera che rende inseparabili i due poli. Si potrebbe forse dire che per larga parte del romanzo la protagonista è questa arte naturalistica o natura artistica. Ma via via che si fa più serrato il dissidio all’apparenza insanabile tra leggi dell’individuo e leggi del mondo, emerge tutta la complessità della figura che alla fine ricongiungerà i due poli nel segno del misticismo, della divinità muta ma non per questo meno eloquente; tale figura è, appunto, Ottilia, che con il suo sacrificio compensa la tremenda sciagura della morte del figlio di Edoardo e Carlotta. Il bambino è figlio di questi ultimi due, ma somiglia al Capitano ed ha gli occhi di Ottilia; perché in realtà il bambino è figlio delle affinità elettive: senza di queste Edoardo non avrebbe visitato Carlotta e non l’avrebbe posseduta pensando ad Ottilia, come presumibilmente Carlotta pensava al Capitano. La figura di Ottilia è salvatrice; più che una santa, come sembra apparire dopo morta ad una sua serva bambina, Nanny, essa è il sacro, il ricongiungimento del dissidio, del «conflitto della legalità con la licenza, della ragione con l’intelletto, della passione col pregiudizio» (ivi, pag. 727); ebbene, in ragione di questo, essa è il divino che si esprime più che nella santità che mostrerebbe solo un lato umano, nella dimensione del sacro che svela il trucco delle affinità elettive: non si tratta di magia, quanto di Necessità divina. Come dice Renata Caruzzi nelle note, se prima «l’amore di Ottilia, in cui la divinità dispone a suo talento e tutto compenetra, diventa motivo del suo “peccato” [e pertanto siamo in una situazione di] deus contra deum» (ivi, pag. 831), il suo martirio farà invece crescere «la consapevolezza che nemo contra deum, nisi deus ipse» (ibidem). La frattura è ricomposta; a caro prezzo, certo, ma in tema di artificio, «per tutto ci vuol del genio, anche per il martirio» (ivi, pag. 792). Ottilia, col suo martirio, si rivela allora la personificazione del genio neoclassico e kantiano, colei che ricongiunge con l’eternità della bellezza, la natura e l’arte.
Finché non lo fai tuo,/ questo "muori e diventa",/ non sei che uno straniero ottenebrato/ sopra la terra scura. (J. W. Goethe) |
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