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 Considerazioni sull'Io e sul sè

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Elgheb Inserito il - 30/05/2004 : 04:35:51
ho cominciato allegramente a leggere/studiare il libro "L'io della mente"
mi sono fermato all'introduzione e già ho trovato la necessità di scrivere alcune considerazioni. considerazioni che alla lunga portano a temi squisitamente metafisici, dato che stamane la lettura dell'introduzione è stata accompagnata da una breve recensione critica del saggio "Il ritorno a Permenide" in "Essenza del nichilismo" del prof E.Severino.
arrivo al dunque:
L'io esiste anche quando non ci sono io.
è vera o falsa tale affermazione?
L'Io è una totalità data da una somma di oggetti. tuttavia la mera somma di tali oggetti non esaurisce il concetto e la spiegazione dell'Io in sè.
l'Io è una summa complessa di fisicità (come il cuore, il cervello, il fegato..) e di spiritualità (emozioni, idee, dolori...)
l'Io è dunque un sinolo di res extensa e res cogitans che convivono in armonia dentro di me.
l'Io sono io!!! e fin qui niente di filosoficamnete nuovo nelle osservazioni che faccio.
ma è in questa tautologia che, paradossalmente, comincio ad aggiungere qualcosa di nuovo:
io sono una manifestazione possibile dell'Io, ma non sono l'unica, benchè, in quanto manifestazione possibile dell'Io, sono unico!
quindi l'Io in sè esisterebbe anche quando non esisto io, poichè ci sarebbero altre fenomenologie esplicative dell'Io in sè.
Forse conviene rfiormulare meglio la domanda:
io sono sempre io, anche quando rinuncio(x svariati motivi) a una parte di me determinante il mio Io?? fino a che punto sarei io??
le mie conclusioni mi hanno portato a considerare l'Io anche come storia del mio Io, inteso come essere in evoluzione nel divenire (panta rei). a questo punto devo delineare quelle peculiarità che rendono me stesso un essere nel tempo!

questo è quanto ho appuntato oggi nel mio personal-book. tuttavia l'ora comincia a farsi tarda e proseguire in questi ragionamenti..c'è da dire che il tema in questione è ricco e vario e si potrebbe discutere ancora. ma le mie sinapsi chiedono riposo. quindi meglio accontentarle.

"Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi" - E.Hemingway
3   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Biuso Inserito il - 06/06/2004 : 01:58:21
quote:


poi le volevo chiedere: quando dice
quote:
per quanto tale alterità rimanga radicata nell’Io e da esso si generi.
si riferisce all'alterità tra Io e Sè? può spiegarmi meglio questa affermazione??



No, mi riferivo: 1) al rapporto fra l’Io e gli altri soggetti; 2) all’alterità costituita dagli enti non umani e per la quale l’antroposfera si costituisce nel rapporto con la teriosfera, la tecnosfera, la teosfera.

quote:

poi nella parte finale del suo intervento riferisce che "L'Io è temporalità vissuta del corpo proprio". mi sembra di capire che ciò sia, in ultima istanza, la sua definizione dell'Io. mi sbaglio o questa affermazione riprende ciò che dicevo nelle mie ultime elucubrazioni del sabato sera. riprende, nel senso che c'è armonia in quanto espresso da me e nella sua affermazione. armonia o non discordanza. mi sbaglio??



Sì, mi sembra che sia una consonanza.

quote:

tuttavia prima mi preme avere alcune risposte. Hofstadter e Dennet dicono chiaramente che una teoria "soddisfacente" sulla coscienza non è mai esistita (pag 20) e i tentativi che ci sono stati nel dimostrare una tesi scientifica sulla coscienza hanno dimostrato proprio questo.
le ragioni? non vengono dette chiaramente, ma implicitamente si dice "per questa e altre ragioni". da ciò deduco che la ragione principale è che la coscienza, in quanto questione privata, ovvero soggettiva, cangiante in ogni individuo, non è passibile dei dettami della scienza. e quali sono tali norme che la coscienza non rispetta??



Come molti filosofi della mente, Hofstadter e Dennet confondono l’opacità epistemologica con il nulla ontologico. E cioè: dato che la coscienza non si può studiare con gli strumenti e con i protocolli mediante i quali si studiano le piante, i neuroni o le stelle, la coscienza o non esiste (eliminativisti) o è ciò che fa il cervello (riduzionisti). Che la coscienza sia un evento qualitativo e non quantitativo, come secondo me hanno dimostrato a sufficienza fra gli altri Nagel e Jackson, non significa che non esista!

quote:


è possibile una definizione più filosofica e più umana di coscienza?




Certo che è possibile e le risposte potrebbero essere varie. Qui mi limito ad alcune semplici constatazioni (non dobbiamo dimenticare che siamo su un forum e in questi luoghi la brevità è una grande virtù… non importa se bisogna un po’ sacrificare la completezza e l’approfondimento): il pensare si genera dalla confluenza di fattori, livelli e dinamiche assai complesse: 1) dalla vasta e intricata organizzazione dell’encefalo; 2) dai suoi legami con l’intero corpo che percepisce, sente, assorbe informazioni e a esse reagisce; 3) dall’interazione costante con l’ambiente in cui il corpo è immerso e si muove; 4) dal fluire del tempo che scandisce la vita del corpo, che è il corpo.
È quindi vero che i qualia –suoni, odori, impressioni tattili, fotoni percepiti e decodificati dall’occhio- vengono tutti trasformati dai neuroni in segnali elettrici ma la caratteristica della mente consiste proprio nel rivestire poi tali impulsi elettrici di qualcosa che alla fisicità non è riducibile: un significato.
È l’intenzionalità dei significati –il rivolgersi del corpo a degli obiettivi colmi di senso- uno degli elementi caratteristici ed esclusivi della mente. E la coscienza è proprio il luogo specifico degli atti intenzionali.

Benedizioni notturne a tutta la compagnia

agb
...le isole lontane, macchie verdi e il mare, i canti delle genti nuove all'imbrunire... (Battisti-Mogol)

Edited by - Biuso on 06/06/2004 02:00:27

Edited by - Biuso on 06/06/2004 02:01:18
Elgheb Inserito il - 01/06/2004 : 15:24:43
quote:
Vedo che l’abitudine studentesca (ma non solo…) di farsi di strane sostanze il sabato sera (ma non solo…) continua! Se la semplice Introduzione di questo libro ha già prodotto simili effetti, che cosa accadrà dopo?

effettivamente i fumi dell'alcool, secondo il mio modesto parere, beneficiano quei bevitori che ne fanno un uso moderato, a volte necessario per riuscere a vedere le cose in un ottica diversa (che non vuol dire vedere doppio!)
e dopo questa apologia dell'etilico, che non significa necessariamente che io sia un ubriacone arrivo al nocciolo della questione!

intanto riprendo una considerazione fatta dal prof.Biuso:
quote:
Il suo reale interesse sta nel comprendere meglio, attraverso il pensiero delle macchine, la natura del pensare umano e la sua possibile evoluzione verso l’altro da Sé

mi chiedo se questo a cui lei fa riferimento non sia paragonabile all'errore che fatto da Putnam e il suo funzionalismo, ovvero studiare la mente umana osservando una macchina di Turing. e traendo delle conclusioni logico-linguistiche (xchè questo è il campo delimitato da Putnam) sulla mente umana in virtù di un comportamento artificiale e osservabile in una A.I. e benchè il funzionalismo abbia dato un contributo notevole allo studio dell'intelligenza e dei suoi processi cognitivi mi è parso di capire che è questo il limite del funzionalismo di Putnam.
poi le volevo chiedere: quando dice
quote:
per quanto tale alterità rimanga radicata nell’Io e da esso si generi.
si riferisce all'alterità tra Io e Sè? può spiegarmi meglio questa affermazione?? probabilmente i fumi dell'alcool stanno ottenebrando la mia mente!

poi nella parte finale del suo intervento riferisce che "L'Io è temporalità vissuta del corpo proprio". mi sembra di capire che ciò sia, in ultima istanza, la sua definizione dell'Io. mi sbaglio o questa affermazione riprende ciò che dicevo nelle mie ultime elucubrazioni del sabato sera. riprende, nel senso che c'è armonia in quanto espresso da me e nella sua affermazione. armonia o non discordanza. mi sbaglio??

per il resto vorrei aggiungere che ho veramente terminato la lettura di tutta l'introduzione, dove viene introdotto il termine di coscienza.
gli autori segnando il paragrafetto introduttivo con il titolo "vite private"(pag. 19) danno già un senso, delineano una semantica del termine coscienza. la mia analisi mi ha portato a considerare la coscienza come una questione privata. riporto qui di seguito con che mi ha spinto a tale riflessione: "Tu sei un centro di coscienza. ma che cos'è mai la coscienza? è il connotato più ovvio e insieme più misterioso della nostra mente. da un lato è a noi evidente il nostro essere un soggetto d'esperienza, che gode percezioni o sensazioni, patisce dolori, nutre idee e delibera coscientemente? dall'altro com'è fatta la coscienza? com'è fisicamente possibile a dar luogo a questo fenomeno?? nonostante la scienza moderna abbia saputo spiegare fenomeni naturali un tempo misteriosi - magnetismo, fotosintesi, digestione e riproduzione - la coscienza sembra diversissima da essi. la differenza sta nel fatto che tale fenomeni naturali sono ugualmente accessibili a qualsiasi osservatore, mentre ogni caso particolare di coscienza sembra avere un osservatore favorito o privilegiato"

poi gli autori si spingono nel discorso e spianano il percorso logico per introdurre il paragrafo successivo "le altre menti".
tuttavia prima mi preme avere alcune risposte. Hofstadter e Dennet dicono chiaramente che una teoria "soddisfacente" sulla coscienza non è mai esistita (pag 20) e i tentativi che ci sono stati nel dimostrare una tesi scientifica sulla coscienza hanno dimostrato proprio questo.
le ragioni? non vengono dette chiaramente, ma implicitamente si dice "per questa e altre ragioni". da ciò deduco che la ragione principale è che la coscienza, in quanto questione privata, ovvero soggettiva, cangiante in ogni individuo, non è passibile dei dettami della scienza. e quali sono tali norme che la coscienza non rispetta??
in primo luogo mi viene in mente la questione degli universali, il famoso dibattito dell'epoca medievale che ha dato un taglio significativo a tutta l'epoca moderna da Cartesio a Kant. dal grande Descartes che voleva una scienza della metafisica, ovvero una metafisica che rispettasse il principio della universalità, fino al buon Immanuel che dichiara definitivamente quali sono i veri principi da rispettare fare scienza...il famoso giudizio sintetico a priori e dichiara la metafisica come qualcosa di inconoscibile, universalmente e quindi scientificamente parlando!
allora mi chiedo io...se la coscienza è soggettiva (per Bacco e Dioniso, menomale che è così, che qualcosa ci distingue in quest'epoca di omologazione) e quindi non si può parlare di scienza della coscienza (forse al massimo di storia della coscienza). se abbiamo definito l'Io, come essere nel tempo, possiamo chiarire in termini oggettivi, dare una definizione di coscienza? il neurofisiologo E.R.John ne dà una (pag.22), che personalmente fa sembrare la coscienza un qualcosa di meccanico, un processo dell'organismo come se anche la macchina di Turing avesse una coscienza.
questa è dunque il primo quesito: è possibile una definizione più filosofica e più umana di coscienza?
e la seconda questione che intendo sollevare è: se la coscienza esiste, ma nulla si può dire, di scientifico, su di essa. se sappiamo che tutti siamo invasi di uno spirito cosciente, ma non lo possiamo toccare, guardare..al max possiamo fare un "esame di coscienza". se tutti, studenti, professori, criminali, giornalisti, politici, abbiamo un animo cosciente, insomma...qual è la differenza che intercorre dalla psiche (come la intendevano Socrate, Platone e Aroistotele) ovvero, un soffio vitale, dall'animus dei latini, ovvero ciò che ci permettere di essere animati, lo spirito (di cui Hegel ne fa tanto uso) e coscienza??
insomma io posso dire che se avessi una risposta a tale questione "metafisica" sentirei il mio spirito vivificato, quanto la mia anima è euforica nell'atto del bere, senza passare però per psicolabile dato che pongo la questione coscientemente!

e tale domanda, prof.Biuso, spero non mi faccia passare per consumatore abituale di sostanza psicotrope. al max occasionale!!

"Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi" - E.Hemingway

Edited by - elgheb on 01/06/2004 15:31:26
Biuso Inserito il - 30/05/2004 : 12:47:47
Vedo che l’abitudine studentesca (ma non solo…) di farsi di strane sostanze il sabato sera (ma non solo…) continua! Se la semplice Introduzione di questo libro ha già prodotto simili effetti, che cosa accadrà dopo?

Cerco, comunque, di riprendere le considerazioni di Elgheb un po’ alla lontana e partendo proprio dal (bello e utilissimo) libro di Hofstadter e Dennet, per i quali scienza non è solo un insieme di procedure formali e matematiche con le quali indagare la natura ma è anche un terreno di gioco per l’immaginazione. E infatti il libro raccoglie racconti di fantascienza, le visioni di Borges sul tempo, altri testi sempre al confine tra scienza e metafisica, alcuni dei documenti classici sull’A.I., fra i quali il test di Turing e la critica che Searle gli rivolge.
Aver raccolto i documenti fondanti di questo confronto è secondo me uno dei meriti principali del libro, il cui insieme risulta utile per comprendere alcune delle ragioni che fanno della filosofia della mente e dell’A.I. un decisivo ambito di ricerca. In tale progetto, infatti, risuonano almeno due domande metafisiche: che cosa significa pensare? che cos’è la realtà? Sono due interrogativi fra di loro strettamente dipendenti. La risposta alla domanda sulla realtà implica quella sul modo umano di conoscerla e il differente statuto che si dà alla conoscenza modifica l’approccio –realistico o idealistico, monistico o dualistico, materialistico o spiritualistico…- al mondo e quindi la credenza in alcune o in altre delle sue proprietà.

Venendo alle domande di Elgheb: che cosa pensiamo quando diciamo Io? La risposta più chiara fornita dal libro è forse epistemologica: «un oggetto ha con se stesso una relazione specialissima e unica, che limita le sue capacità di agire su di sé nello stesso modo in cui può agire su tutti gli altri oggetti (…). Possiamo avvicinarci a una visione e a una comprensione oggettive di noi stessi, ma ciascuno di noi è prigioniero all’interno di un possente sistema dotato di un punto di vista unico: questo potere è anche il garante della limitatezza. E questa vulnerabilità, questa autocircolarità, potrebbe anche essere la fonte dell’inestirpabile senso dell’ “io”» (pp. 273-274).

I rischi del solipsismo sono evidenti e forse il progetto forte dell’A.I. somiglia a quello che Borges attribuisce a uno dei suoi personaggi, un proposito non impossibile, forse, «anche se soprannaturale. Voleva sognare un uomo: voleva sognarlo con minuziosa interezza e imporlo alla realtà» («Le rovine circolari» in Finzioni). Ma se l’A.I. fosse solo questo sogno, per quanto suggestivo, la lasceremmo ai narratori. Il suo reale interesse sta nel comprendere meglio, attraverso il pensiero delle macchine, la natura del pensare umano e la sua possibile evoluzione verso l’altro da Sé, per quanto tale alterità rimanga radicata nell’Io e da esso si generi.

Per quanto mi riguarda (e per quello che vale), molti di voi conoscono già la mia posizione sull’Io: senza di me io non ci sarei ma non basta il Sé per generare l’Io, il quale è la convergenza del corpo che sono, degli altri corpi che entrano in relazione con me, dello stratificarsi nel tempo di decisioni, azioni, esperienze. L’Io è temporalità vissuta del corpo proprio.

(E con questo avrete capito che anche un prof. si può fare, e addirittura di domenica mattina!)

agb
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