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 L'Odissea della mente?

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
JoeSerpe Inserito il - 25/05/2006 : 01:25:39
Una considerazione, forse già detta, forse banale, a proposito di "mente", "corpo" e "individuo" nell'Odiessea:

è il momento del riconoscimento.

Penelope scruta Ulisse, non è sicura che sia lui, è titubante, lo mette alla prova:

dice alla serva di spostare il letto nuziale fuori dalla camera nuziale. Ulisse, che aveva costruito da sé il letto sopra il tronco di un grande ulivo, sa bene che il letto ha le radici dell'albero originario e dunque non può essere spostato se non da un nume. Appena rivela questo particolare che solo lui può conoscere, Penelope non ha più dubbi, si scioglie in lacrime, sviene e poi corre al collo di lui.

Penelope, dunque, non era ancora certa che il corpo davanti a sé fosse quello di Ulisse, erano trascorsi vent'anni, ma dopo questa rivelazione ebbe una certezza: la mente davanti a sé era quella di Ulisse, a quel punto ne poté abbracciare quel corpo che fino ad un attimo prima aveva creduto poter essere quello di uno sconosciuto.








PS
In modo più o meno analogo, nel canto successivo, il padre di Ulisse, Laerte, riconosce Ulisse. Sono i canti XXIII e XIV


Modificato da - joeserpe il 25/05/2006 01:33:01
3   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
utente non registrato Inserito il - 10/06/2006 : 23:08:38
La memoria dunque risulterebbe fondamentale per l'individuo, lo rende diverso da tutto il resto e ogni individuo esisterebbe solamente nel passato?

Il corpo ha vita nel presente e rinasce continuamente sotto diverse spoglie ma la mente ha stabilità e attendibilità solo nel passato o meglio nella memoria, è "identico" a se stesso quando si riconosce l'individuo sotto un'unica idea e alla radice del confronto la memoria.
"Riconoscere" significherebbe conoscere "di nuovo" alla luce di questo confronto.

Siete d'accordo?

______
curiositas@virgilio.it
giofilo Inserito il - 26/05/2006 : 17:54:25
Da "Il senso della memoria" di J.Y. Tadiè e M. Tadiè. (pag. 130)

Il riconoscimento

Un aspetto particolare della dissociazione tra ciò che si è visto ed engrammato ad un'epoca della vita e ciò che si percepisce anni dopo,appare evidente quando si tratta di riconoscere una persona che non si vede più da molto tempo: nel corso degli anni quest'ultima sarà infatti cambiata fisicamente e moralmente.
Nel ricordo può essere rimasta uguale alla prima volta che la si è incontrata, oppure può essersi evoluta in un modo che non corrisponde a come è in realtà. Quando la si incontra di nuovo, non la si riconosce più.
La somma di queste due evoluzioni divergenti ha prodotto nella memoria un ricordo immaginario la cui risultante è una persona diversa da quella a cui ci si trova di fronte ora.
Nell'Odissea è proprio per questa ragione che Ulisse, al suo rientro, deve imporsi a suo figlio il quale lo scambia, inizialmente, per un dio. I suoi tratti non evocano in Telemaco alcun ricordo, non più di quanti ne evochino in Penelope: il motivo è che l'immagine vecchia non corrisponde a quella fornita dalla percezione attuale.
Al contrario, Argo, il vecchio cane "trascurato durante l'assenza del padrone", vecchio e coperto di polvere, riconosce Ulisse, scodinzola e abbassa le orecchie, ma gli manca la forza per avvicinarsi: "Argo non c'era più: le ombre della morte avevano coperto i suoi occhi che avevano appena rivisto Ulisse dopo vent'anni".
Con un lampo di genio, in una scena toccante, Omero ha fatto di un cane il solo essere vivente capace di riconoscere immediatamente Ulisse. La nutrice, Euriclea, in un primo momento colpita dalla somiglianza della voce e del paso, identifica Ulisse da una cicatrice. Quanto a Penelope, dubita tutto, e chiede di poter vedere quei "segni segreti" che solo loro due conoscono, prepara un tranello, e poi riconosce "quelli evidenti segni caratterstici di Ulisse".
Al ricordo di un uomo, che vent'anni di lontananza rendono irriconoscibile, si sostituisce la memoria metonimica dei segni: la commedia romana, quella di Molière e il melodramma ne faranno largo uso. Il segno, materiale o meno, è l'unico tratto comune tra l'immagine vecchia e quella nuova. [...]
Proust riassume nel seguente modo questo problema di riconoscimento: "Riconoscere qualcuno, significa pensare con un denominatore comune a due cose contradditorie, significa cioè ammetere che ciò che era, l'essere di cui ci si ricorda non è più e che quello che è adesso è un essere che non si conosce".





Biuso Inserito il - 25/05/2006 : 17:43:15
L'identità si fonda quindi sulla memoria. Non solo su quella individuale ma anche sulla dimensione relazionale degli enti (come il letto-tronco) e del loro valore semantico e simbolico.

La sua lettura di quegli episodi del poema mi sembra quindi molto interessante e plausibile.

agb
«Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere»
(Spinoza)

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