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 Università Enna: I.A. e interazione uomo-macchina

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
giofilo Inserito il - 20/03/2006 : 14:55:30
Guardate un pò: http://www.unien.it/ia/

Ricerca Intelligenza Artificiale e Interazione Uomo Macchina

Il progetto di Intelligenza Artificiale e Interazione Uomo Macchina si focalizza sulle seguenti tematiche: chatbot, ontologie e motori inferenziali.
L’obiettivo è verificare la possibilità di creare un chatbot che sappia interagire con le ontologie proprie del web semantico per l’accesso a informazioni strutturate. L’ideale sarebbe riuscire a creare un sistema ontologico di formazione a distanza fruibile tramite linguaggio naturale.

Coerentemente con la linea di sviluppo relativa al web semantico, il progetto intende studiare la fattibilità di un sistema che:
- riconosca il linguaggio naturale attraverso AIML;
- riesca a sottoporre al motore inferenziale unicamente gli elementi della frase determinanti per l’esecuzione del compito;
- elabori una risposta utilizzando la conoscenza strutturata in ontologie tramite un apposito motore inferenziale;
- produca un output in linguaggio naturale.

A tal fine è necessario realizzare un motore inferenziale che sia in grado di fruire delle informazioni strutturate nelle ontologie.

Un chatbot strutturato sulla base delle linee di ricerca proposte presenterebbe a nostro avviso, rispetto ai chatbot attualmente esistenti, numerosi vantaggi.

ps: Prof. Biuso, all'unict ne sapevamo qualcosa? Lo chiedo perchè nel gruppo di ricerca di Enna ci sono alcuni docenti e ricercatori dell'università di Catania, per esempio il dott. Raimondo Bruno (ricercatore senior, esperto in scienze cognitive) è laureato in filosofia qui da noi.



Modificato da - Giofilo il 20/03/2006 15:33:33
1   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Biuso Inserito il - 20/03/2006 : 17:13:23
Grazie, giofilo, di questa interessante segnalazione, anche perché io non ne sapevo nulla.
Forse è utile chiarire alcuni dei termini utilizzati nella presentazione del progetto, anche se dovrò essere un po’ lungo (e mi dispiace…).

Ogni parola e qualunque asserzione sono strettamente legate al contesto semantico nel quale vengono dette. «È il contesto che fissa il significato e quindi le condizioni di verità» (R. Casati – A. Varzi, Semplicità insormontabili. 39 storie filosofiche, Laterza 2004, pag. 169) ma questo implica che una Logica e una Filosofia della mente fondate solo sulla sintassi non possano cogliere nulla del mondo, e siano necessarie una semantica e una pragmatica, il mondo dei significati, la vita nel suo scorrere.
Per questo -e non a caso- molte delle ricerche contemporanee nell’ambito della Intelligenza Artificiale riguardano il Semantic Web che dovrebbe costituire la naturale evoluzione del World Wide Web, capace di risolvere il problema di fondo causato dal moltiplicarsi esponenziale delle pagine in Rete: la difficoltà di trovare l’informazione che serve e di farlo in tempi ragionevoli. Anche i migliori motori di ricerca sono, infatti, limitati da almeno tre fattori: indicizzano solo una parte del Web e fra i loro risultati offrono sia falsi negativi (informazioni che nulla hanno a che fare con quelle chieste) che falsi positivi (l’omissione, invece, di parte dei dati che si cercavano). Questo accade perché i software di ricerca sono puramente sintattici e del tutto incapaci di distinguere i significati semantici delle stringhe che trovano. Non solo: gli agenti di ricerca ignorano anche il contesto pragmatico che dà valenza maggiore o minore rispetto all’obiettivo della ricerca. In altre parole: le macchine e i loro software non pensano. «Questo significa che il Semantic Web intende recuperare tutta la tradizione della ricerca in Intelligenza Artificiale che va sotto il nome di rappresentazione della conoscenza, focalizzandola tuttavia su un nuovo obiettivo molto ben delimitato e preciso» (Bouquet – Ferrario, in Networks. Rivista di filosofia dell’intelligenza artificiale e scienze cognitive, Numero 2003/2, pag. IV).

L’importanza filosofica del Semantic Web è rilevante se si pensa che con esso ci troviamo finalmente di fronte all’ammissione che bisogna andare oltre la sintassi affinché si dia davvero pensiero. Sinora, infatti, il tentativo di migliorare la ricerca delle informazioni in Rete è spesso fallito proprio perché i programmi non riescono ad accedere al significato dei dati che elaborano e quindi non possono coglierne la più o meno grande rilevanza in un contesto semantico e argomentativo più ampio della parola singola.
Poiché gli umani sono già capaci di situare un’informazione nel contesto che le dà significato, il Semantic Web ha come obiettivo soprattutto far dialogare le macchine fra di loro. Lo strumento è costituito dai metadati e cioè quell’insieme di informazioni necessarie a collocare in un contesto significativo una qualsiasi altra informazione. I metadati dovranno poi essere collegati fra di loro mediante particolari algoritmi, come quelli che stanno alla base di CtxMatch, un programma che cerca di elaborare un coordinamento semantico fra due o più nodi di una classificazione gerarchica, in modo da individuare le relazioni che intercorrono fra i singoli dati presenti in elenchi diversi.

Dati, sintassi, e metadati si unificano nel concetto chiave di ontologie. Questo termine presenta, in realtà, almeno tre diverse accezioni. Ontologia è: un vocabolario condiviso capace di rendere meno ambiguo il significato; un insieme di documenti o file in grado definire le relazioni reciproche fra le parole; un processo di gerarchizzazione fra tali relazioni. Tuttavia a complicare, e di molto, l’impresa c’è la questione centrale del linguaggio. Si comprende facilmente, infatti, come una delle condizioni per rendere possibile la comunicazione semantica fra le macchine e gli agenti software sia la standardizzazione del linguaggio. Ma caratteristica peculiare dei linguaggi è il fatto che essi siano vivi, che mutino col tempo come anche nei contesti, in relazione ai parlanti, a chi ascolta, alle concrete situazioni in cui vengono impiegati. Metadati e ontologie saranno capaci di seguire la complessità dei linguaggi senza perdersi in essa? Di più, è auspicabile una standardizzazione estrema che consenta alle macchine di comprendere senza sfumature i significati? Un altro rischio è il venir meno della riservatezza, dato che la personalizzazione delle ricerche sul Web implica la conoscenza (da parte dei programmi) dei gusti, dei pensieri, degli stili delle persone.

Come cercavo di argomentare stamattina a lezione, i significati scaturiscono, in realtà, dall’immersione della mente nello spazio-tempo. Conoscenza, apprendimento, linguaggio, vita concreta, costituiscono un insieme inscindibile di esperienze e di forme, senza le quali non si dà l’umano. La capacità di comunicare va ben oltre la semplice segnalazione del pericolo o la manifestazione di una avvenuta soddisfazione. Comunicare vuol dire trasmettere l’immateriale, l’invisibile pensiero che vive nella mente. Le forme della comunicazione mutano nel tempo e nello spazio ma si radicano tutte nella capacità di elaborare segni che stiano al posto delle cose e segni che indichino altri segni. Il linguaggio umano non è quindi solo denotativo ma è soprattutto significativo. La natura di un segno non sta nella sua struttura fisica ma nella funzione condivisa del significare, non nella codifica/decodifica che accomuna il linguaggio delle api a quello dei computer, ma sta nella comprensione –o anche nel fraintendimento- del significato di quei segni. Ogni forma di riduzionismo, tesa a spiegare la mente o con la struttura fisico-chimico-elettrica del cervello o con processi computazionali di pura comunicazione sintattica, rimane quindi ben al di sotto dei processi insieme biologici e logici che danno vita alla mente e che spiegano perché una faccia non è ancora un volto e delle gocce d’acqua salata non sono ancora una lacrima.

(Sulla questione ho scritto un articolo intitolato «Mente, comunicazione e Semantic web», pubblicato su Informatica & Scuola , maggio 2005, pagine 28-31).

agb
«Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere»
(Spinoza)

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