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 Il sogno di Einstein

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Cateno Inserito il - 31/03/2005 : 12:06:16
Benritrovati a tutti! Per salutare la riapertura del forum, torno con un intervento lunghetto ma spero affasciante: Il sogno di Einstein, ovvero: Mente, Tutto e Necessità.
Fatemi sapere che ne pensate.

È possibile una teoria del Tutto? Il sogno di Einstein fu proprio questo: elaborare una teoria che spiegasse l’intero universo. Dopo la relatività ristretta e la relatività generale, egli sognava questa sorta di pan-teoria che contenesse quelle ed ogni altra cosa. Dopo di lui ci hanno provato in molti e una delle ultime ipotesi che ci vengono proposte è quella delle stringhe secondo la quale, detto in maniera semplice e sbrigativa, tutta la materia e tutte le forze sono composte da minuscoli fili vibranti, per cui ogni particella e ogni forza corrisponderebbero a una particolare vibrazione. Però, però… Forse l’idea stessa di una teoria del Tutto ha un vizio di fondo. Per spiegare come “funziona” il Tutto dovremmo prima comprenderlo. Forse nel problema dell’elaborazione (notate già il termine: elaborazione!) di una teoria del Tutto è radicalizzato ed estremizzato l’intero problema di come sia possibile una spiegazione senza una comprensione. Il problema è vecchio, lo so, ma abbiate la pazienza di seguirmi. In realtà questo mio punto di partenza sarà un trampolino verso una questione maggiore che sperò emergerà bene. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 373: “Come? Vogliamo davvero sminuire l’esistenza sino a farne un esercizio da contabili, una sedentaria attività da matematici? […] Una interpretazione “scientifica” del mondo, come lo intendete voi, potrebbe quindi essere sempre una delle più stupide, cioè più povere di senso”. Ecco: il senso. Potremo mai cogliere il senso del tutto? Facciamo un esempio per tentare di toglierci davanti una possibile obiezione: qualcuno potrà dire: ma per spiegare una pietra che cade c’è bisogno di un senso? Una pietra che cade è una pietra che cade e basta. Bisognerebbe interrogarsi sul perché questa pietra cada e non voli? Non basta interrogarsi sul come? Non basta dire che esiste la gravità dovuta alla enorme massa della Terra (ammesso che già con l’affermare questo non si ponga un problema già più generale e “cosmico”)? No, amici miei, non basta. Una pietra cade perché è terra e tende al suo luogo naturale; oppure una pietra cade perché l’eterno decreto di dio così ha stabilito affinché, che so io, gli uomini costruissero le case con le pietre; una pietra cade senza senso alcuno e siamo solo noi ad attribuirgliene uno poiché siamo in grado di sfruttare la sua caduta. Ecco: chi più ne ha più ne metta. Sì, ma perché? Io ho sempre pensato che l’uomo è uomo perché si chiede perché; certo, se guardiamo alla stragrande maggioranza delle persone, allora ci verrebbe da pensare che gli uomini non sono poi così tanti (scusate la facile battuta e la piccola digressione). Il perché è la prima domanda del bambino e l’ultima del morente. Torniamo a noi: davvero è possibile una teoria del Tutto senza porsi il problema del senso di questo Tutto? E davvero una teoria del Tutto sarebbe diversa dal senso del Tutto? Finora abbiamo attribuito ad ogni cosa la nostra sembianza, perfino a dio però avendo il pudore di invertire le parti (ci creò a sua immagine e somiglianza: sarebbe a dire noi somigliamo a dio, ovvero dio ci somiglia); allora questo Tutto in cosa si differenzierebbe dal senso che noi gli diamo? Se davvero (e lo credo), come il prof Biuso traduce Aristotele, “la mente è in qualche modo tutto”, allora il senso del tutto sarebbe nientemeno che la nostra mente? Com’è ovvio la risposta è: sì e no. Sì in senso trascendentale, no in senso assoluto. Orbene, la domanda è questa: è possibile o è possibile conoscere questo senso assoluto? Questo senso assoluto non sarebbe per caso il noumeno? Ma il noumeno ha un senso? E se ha un senso, come, cioè in che modo potrebbe essere un senso che ci riguardi? Se questo senso un giorno ci si rivelasse e ci scoprirebbe finalmente insignificanti parti di un tutto, non sarebbe una tragedia? E se questo senso fosse… non esserci alcun senso? Solo una cieca, vuota, insignificante necessità? La necessità! Se fosse un caos, ecco, allora verrebbe facile attribuirgli un senso: potremmo riordinarlo noi; sarebbe un compito arduo ma possibile. Ma la necessità: come si fa ad attribuire un senso alla vuota ed indifferente necessità? Se io le voglio attribuire un senso, al contrario del caos che mi direbbe: fa’ come ti pare, tanto io sono caos, informami come vuoi, traine i tuoi sensi, di me puoi fare quello che vuoi; la necessità mi urlerebbe: fermati: è cosi, non puoi fare nulla, in tutti i sensi. Accidenti, come sarebbe vero (ammesso che ci siano dei dubbi) il frammento di Anassimadro. Ancora Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 109: “[…] La caratteristica globale del mondo è, invece, per l’eternità, il caos, non nel senso che manchi la necessità, ne senso che mancano ordine, struttura, forma, bellezza, saggezza, ovvero le nostre umanità estetiche. […] Ma come possiamo biasimare o lodare l’universo! Guardiamoci dall’attribuirgli mancanza di cuore o irragionevolezza o i loro contrari: non è né perfetto né bello né nobile; non vuole diventare niente di tutto ciò; non mira assolutamente a imitare l’umano! Nessuno dei nostri giudizi estetici o morali può coglierlo! Non possiede neppure l’istinto di conservazione, né altri istinti; non conosce legge alcuna. guardiamoci bene dal dire che in natura esistono leggi. Ci sono solo necessità: non c’è nessuno che dà ordini, nessuno che obbedisce, nessuno che oltrepassa un limite. Sapendo che non ci sono fini, sapete anche che non c’è un caso: solo in un mondo di fini, infatti, la parola “caso” ha un senso.” La necessità amorfa, dunque. Ma da dove viene questa necessità? Da dove, cioè, prendiamo questa idea di necessità? La mia risposta è questa: dove c’è un Tutto, lì c’è necessità. Faccio alcuni esempi: i greci antichi, Spinoza, Wagner, Nietzsche (dove affiora a coscienza una certa ricaduta in chiave etico-estetica,: si rammenti il vedere la bellezza nella necessità delle cose) e perfino Freud. Ecco dunque il mio punto di volta: una teoria del Tutto è impossibile al di fuori della comprensione della Necessità. Einstein sembrò intuirlo: Dio non gioca a dadi, ebbe a dire una volta, in polemica con la fisica quantistica. D’altro canto mi aspetterei una tale teoria del tutto solo da un fisico-filosofo (ed Einstein fu il fisico più filosofo degli ultimi tempi, quasi un anacronismo). L’ultima parola spetta alla filosofia. Però, se mi permettete un appunto personale e carico di timore e tremore, speriamo che non la dica mai.

L'esistenza è un episodio del nulla (Schopenhauer)
5   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
utente non registrato Inserito il - 22/11/2005 : 19:17:57
ah..poi in realtà non ho capito: Cateno, la tesi che enunci è che se ci fosse una legge del tutto vorrebbe dire che ci sarebbe una necessità del tutto?..se dici questo è un ragionamento tautologico, (tautologia che poi ritengo sia l'unica logica possibile): le leggi sono per definizione enunciazioni di cause necessitanti e effetti necessitati. La mia visione, come ho cercato di dire nell'intervento precedente, è che a me non è dato di conoscere queste cause necessitanti. Se le vedessi avrei visto la causa prima, una causa metafisica.
Le leggi di natura sono interpretazioni pronte ad essere superate in un processo continuo di nuove assegnazioni di proprietà a ciò che perccepiamo.
Però mi è piaciuto l'approcio scettico, interrogatorio sul perchè.
ciao


______
dumb15@libero.it
utente non registrato Inserito il - 22/11/2005 : 18:58:41
e se la legge del tutto fosse che più ci avviciniamo ad essa, più ci stiamo avvicinando lentamente? voglio dire in questa logica rientrebbero anche i tentavi della scienza di cogliere e definire la materia. Se pensiamo all'atomo, una volta potevamo ritenerlo indivisibile ora non più. Così si potrebbe dire che ciò a cui giungiamo è solo uno stato percettivo che però non ha alcuna pretesa di affermare una verità-essenza ultima. e con l'espressione stato percettivo ho detto tutto e ho detto niente. Ma non è infine quello che voglio dire?!

______
dumb15@libero.it
Sinclair Inserito il - 21/05/2005 : 20:18:06
quote:
torno con un intervento lunghetto ma spero affasciante: Il sogno di Einstein, ovvero: Mente, Tutto e Necessità.


Certo che è affascinante il tema proposto da Cateno, così come la sua riflessione a riguardo. Con la formula “Una teoria del Tutto è impossibile al di fuori della comprensione della Necessità”, viene posta una questione che racchiude l’essenza dell’autentica filosofia in quanto ricerca volta alla comprensione della totalità del reale: il senso del Tutto, appunto.
Mi sembra che nell’affrontare in questi termini tale importante questione, Cateno oscilli, credo consapevolmente, tra il porre la domanda ed il fornire al contempo una risposta. Riguardo la suddetta formula, il suo essere domanda o anche risposta sembra dipendere dal modo in cui si intende il concetto di necessità.
Se per necessario si intende ciò che essenziale di una determinata realtà, ossia il carattere fondamentale di qualcosa che non può essere diverso da com’è sotto quell’aspetto, allora con la formula suddetta viene domandata l’essenza del Tutto. La risposta non è implicita ma è oggetto di ricerca. Si cercano i caratteri fondamentali dell’essere in quanto essere, il compito che Aristotele assegnò alla filosofia prima (distinta dalle scienze aventi per oggetto il possibile). Ma l’indagine che cerca il necessario conclude per forza che tutto è necessario?
Per necessario si può intendere, in un secondo senso, l’unico carattere di una totalità in cui tutto è ed accade in modo univoco, e non potrebbe accadere altrimenti: cioè la tesi del determinismo. Ogni fenomeno, in natura come nel mondo umano, è la conseguenza di una serie di cause efficienti che lo precedono e lo determinano in modo necessario.
Si tratta di una possibile risposta al quesito fondamentale –e così hanno risposto in tanti: gli stoici, Averroè, Hobbes, Spinoza, Hegel…-una risposta sempre riproposta e da sempre dibattuta, che soprattutto si impone con la rivoluzione scientifica come presupposto dell’ontologia della fisica classica. La scienza moderna si basa sul determinismo, ed Einstein stesso, come osserva Cateno, non volendo rinunciare a questo presupposto fondamentale criticò l’indeterminismo della fisica quantistica. Cateno cita anche Spinoza, ed Einstein difatti dichiarò che il Dio degli scienziati non può essere che il Dio di Spinoza, cioè l’ordine geometrico e necessario del Tutto. L’universo nel suo divenire per Spinoza è come un immenso teorema matematico da cui tutto segue in modo necessario; ed un altro noto scienziato, Laplace, espresse tutto ciò sostenendo ingegnosamente che un ipotetico demone che conoscesse in un determinato istante le condizioni di tutte le singole parti che costituiscono l’universo e le forze agenti su di esse, potrebbe conoscere in modo infallibile il futuro divenire del cosmo.
Nel citare Einstein e Spinoza, Cateno sembra quindi intendere in questo senso il concetto di necessità del Tutto. Il discorso diventa a questo punto troppo lungo e complesso, mi limito solo ad osservare che c’è tutta una tradizione di pensiero che rileva il limite fondamentale di questa tesi nel non rendere conto adeguatamente di un ambito fondamentale del reale: il mondo umano, l’oggetto delle Scienze dello Spirito, la vita individuale concreta, la storia…
Heidegger ci insegna che per poter comprendere il Tutto và innanzitutto compreso il modo d’essere di colui che pone la domanda. Ma è comprensibile l’esistenza umana se si ricorre esclusivamente alla categoria di necessità? L’analisi dell’esistenza non mette forse in luce, accanto ai caratteri necessari ed intrascendibili che costituiscono l’uomo, anche l’apertura umana verso il futuro in termini di possibilità, scelta, libertà? Certo, anche nel considerare il mondo umano bisogna riconoscere delle necessità intrascendibili che si contrappongono ad un concetto banale di libertà totale ed incondizionata. E di fronte a tali necessità, che vanno comprese, non ci si può ribellare ma bisognerebbe accettarle e benedirle, come ci insegna il prof. Biuso. Ma quando ci si volge a constatare la dinamica della propria vita interiore, risulta difficile considerare la libertà del volere, con il suo carico di angoscia e felicità, una semplice illusione; come accadrebbe alla famosa pietra descritta da Spinoza che, determinata da forze esterne a cadere in un determinato punto, si illuderebbe di scegliere la propria traiettoria.
Storicamente posizioni alternative al determinismo assoluto sono state proposte in vari modi, ed il dibattito è tuttora aperto soprattutto nel terreno della filosofia della mente (il problema dell’ efficacia causale del mentale contrapposta alla tesi della chiusura causale della fisica…). La mia, contestabilissima, opinione a riguardo è che una teoria del Tutto deve rendere conto non solo della necessità ma anche della libertà come dimensione costitutiva dell’esserci umano. Se il presupposto è questo, una teoria onnicomprensiva ed esplicativa della totalità deve spiegare questo dato; e forse non necessariamente riproponendo il dualismo cartesiano -che separa la res cogitans dal mondo materiale proprio perché libera e consapevole e non meccanicisticamente determinata- ma inglobando nella teoria del Tutto unitario una spiegazione-comprensione della libertà umana (così come di coscienza, intenzionalità, qualia...).

P.S.: L’intervento di Cateno è lungo e complesso poiché affronta contemporaneamente molte questioni affascinanti; io mi sono solo permesso di estrapolare una linea argomentativa, forse anche forzando un po’ il discorso, per discutere solo di questo problema.

“Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto” (E. Husserl)
Biuso Inserito il - 06/04/2005 : 18:19:10
Son d’accordo con digiu: l’intervento di Cateno è molto interessante. Il suo nucleo concettuale è da me totalmente condiviso: «una teoria del Tutto è impossibile al di fuori della comprensione della Necessità». Necessità, infatti, non significa “fatalismo”, rassegnazione, passività ma è la gioia intellettuale di sentirsi ciò che si è: parte di un tutto che sta al di là dei nostri pregiudizi antropocentrici, al di là del bene e del male.

Condivido pure il primato della filosofia rispetto alle scienze dure, anche per la infinità della ricerca da cui la filosofia è intessuta.
Per ora mi fermo qui perché di questi temi parlo e scrivo di continuo e mi piacerebbe lasciare spazio ad altri. In ogni caso, una risposta a Cateno sta nella frase orfica che ho scelto come firma…


agb
Sono figlio della Terra e del Cielo stellato
(Lamina orfica di Hipponion)
digiu Inserito il - 04/04/2005 : 21:08:30
quote:

Benritrovati a tutti! Per salutare la riapertura del forum, torno con un intervento lunghetto ma spero affasciante: Il sogno di Einstein, ovvero: Mente, Tutto e Necessità.
Fatemi sapere che ne pensate.



Hai scritto un intervento a mio avviso molto bello e importante.
Bello per il punto di vista, importante per l'interrogativo che poni e per la risposta che abbozzi.
Probabilmente non ho la competenza necessaria per risponderti con preziosi e ficcanti rimandi come potrebbe fare invece il Professore, per cui mi limiterò ad una annotazione forse nemmeno troppo pertinente.


quote:
È possibile una teoria del Tutto? Il sogno di Einstein fu proprio questo: elaborare una teoria che spiegasse l’intero universo. Dopo la relatività ristretta e la relatività generale, egli sognava questa sorta di pan-teoria che contenesse quelle ed ogni altra cosa.

(...)

Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 373: “Come? Vogliamo davvero sminuire l’esistenza sino a farne un esercizio da contabili, una sedentaria attività da matematici? […] Una interpretazione “scientifica” del mondo, come lo intendete voi, potrebbe quindi essere sempre una delle più stupide, cioè più povere di senso”. Ecco: il senso. Potremo mai cogliere il senso del tutto? Facciamo un esempio per tentare di toglierci davanti una possibile obiezione: qualcuno potrà dire: ma per spiegare una pietra che cade c’è bisogno di un senso? Una pietra che cade è una pietra che cade e basta. Bisognerebbe interrogarsi sul perché questa pietra cada e non voli? Non basta interrogarsi sul come?



Nietzsche è una mente feconda e sacra, come sacra è la Filosofia, su questo non voglio alimentare dubbi. Però proprio oggi aprendo una pagina internet mi sono posto un problema, un problema che un non "addetto ai lavori" del mio rango si pone spesse volte: uno storico può evitare di spiegare la Storia? un filosofo può talvolta esimersi dal giudicare la realtà con una delle tante chiavi del suo passpartout della conoscenza?
Si tratta naturalmente di una provocazione penseranno i più; il rispettivo lavoro di ciascuna di queste due figure è, infatti, un'opera di interpretazione che gli uni e gli altri svolgono nello stesso momento in cui si apprestano ad aprir bocca o vergar foglio e difficilmente da parte loro si potrà avere una scissione tra raccontare ed interpretare.

Ebbene vengo al dunque, perché tutto questo preambolo lo debbo ad un articolo che ho letto oggi sulla morte di Giovanni Paolo II. Uno dei pochi scritti secondo me degno di essere letto tra il ciarpame venuto a galla in questi giorni. L'articolo è tratto da http://www.corriere.it ed è stato scritto da Emanuele Severino, uno studioso di filosofia. Ve lo posto qui, per quanti tra Voi non abbiano avuto l'opportunità di leggerlo:


__________________________________
LA FORZA CHE MANCA AL MONDO LAICO
di Emanuele Severino
4 aprile 2005

C’è un motivo, in qualche modo emergente, per il quale l’uscita di scena di questo pontefice è un gravissimo danno per il mondo cattolico, anzi cristiano: questo Papa è stato capace di fare per le proprie convinzioni religiose quello che nel mondo laico a nessuno è riuscito rispetto alle proprie.

Innanzitutto egli ha lavorato in salita — mentre il mondo laico si trova davanti una strada in discesa.
Negli ultimi due secoli il mondo occidentale si è sempre più allontanato dal sacro. Chi, per celebrare questo pontificato, contesta questa affermazione, non si accorge di smentire uno dei tratti centrali della diagnosi che lo stesso Giovanni Paolo II ha fornito dell’Europa e dell’Occidente. A suo avviso, il nazismo e il comunismo — figli legittimi delle «filosofie del male »— hanno lasciato in eredità in Europa una «devastazione» morale e culturale così grave da richiedere da parte della Chiesa il più intenso impegno missionario.
Ma questo Papa ha lavorato in salita perché l’allontanamento del mondo occidentale da Dio non è semplicemente un cambiamento di costume o di gusto. Anche se si stenta a capirlo, la filosofia dell’ultimo secolo e mezzo è la punta d’acciaio che anima, dà forza, fa procedere il nostro tempo: essa mostra che lo scavalcamento dei valori del passato è un processo inevitabile. Mostra che il sacro e il divino concepiti come dimensione eterna che domina il divenire e la storia sono impossibili.

Certo, queste sono affermazioni che il Papa non avrebbe mai accettato. Anzi, egli affermava il contrario. Sosteneva che il male del nostro tempo proviene da una filosofia che non può reggere il confronto con la filosofia della tradizione aristotelico- tomistica sul cui fondamento il cattolicesimo si erige. Ma egli affermava il contrario come uno che, in mezzo a un torrente in piena, sostenga che l’acqua va dalla valle al monte. E lo ha sostenuto nel modo più vigoroso, e anche ha agito nel modo più vigoroso perché l’acqua andasse verso il monte. Di qui la sua grandezza, e insieme la sua tragedia, che peraltro egli ha saputo imprigionare sotto la corazza della sua fede. Difficile avere più forza e coraggio nel tentare di salvare una nave che affonda.

Nel mondo laico, nel frattempo, non c’è stato e non c’è nulla di simile a questa forza e coraggio. Nessuno ha saputo fare per il tempo che viene quello che il Papa ha fatto per il tempo che se ne va. Gioca certo il vantaggio posseduto da un Papa carismatico che ha saputo sfruttare nel modo più efficace i mezzi di comunicazione di massa. Ma la disparità rimane, grave. Giacché il mondo laico ha l’enorme vantaggio di procedere nella direzione del torrente: da monte a valle. Solo che se ne è dimenticato.

Il mondo laico, ormai, si limita a galleggiare. Non vede più la potenza che all’inizio del nostro tempo ha distrutto la tradizione. La potenza del pendio. E’ divenuto a sua volta una fede che si oppone a quella religiosa; un dogma in cui si ripete che Dio è morto o si esibisce un sussiego dietro il quale non c’è alcuna profondità. Continuando a voltare le spalle all’essenza della filosofia, oltre a galleggiare, si taglia il ramo su cui si è seduti. Forse si intravede la tragedia che, a valle, aspetta il torrente, ma si evita di guardarla in faccia e di assumersi la responsabilità del tempo presente. Che porta lontano dalle sicurezze del passato, ma di cui non si sa comprendere il senso, le possibilità, l’esito.

_________________________________

Ora, la prima domanda che mi sono posto leggendo questo articolo è stata: perché Severino deve trovare un senso nel movimento laico (per dirla alla maniera di Cateno)?
A me l'analisi di Severino pare azzeccata in tutto, elegante pure nella metafora che propone, ma c'è qualcosa che stride per me che son laico ed è tutto in quell'affermazione: "il mondo laico si limita a galleggiare". Ma davvero il mondo laico ha bisogno di una guida visibile e forte? Questa è prerogativa del mondo religioso che necessita di istituzioni e guide siano esse papa, Dalai Lama o rin tin tin. Per qual motivo il tutto deve essere strumentalizzato e contrapposto: la Chiesa ha una guida, dunque i laici debbono avere parimenti una guida...altrimenti sillogisticamente si stanno limitando a galleggiare...
Questa strumentale ricerca di senso (sia il termine inteso nell'accezione di "significato" o "direzione") è una procedura tipica della Filosofia, ma si tratta sempre e comunque di una chiave di lettura corretta?

Naturalmente non voglio affermare che l'esprimere una lettura o una interpretazione di fatti si traduca ad ogni modo in un danno per la Ragione, anzi millenni di Filosofia ci hanno insegnato l'esatto opposto laddove l'intelligenza speculativa ha prodotto dibattito, progresso e perlappunto - oso ripeterlo - Ragione.

So di essermi discostato abbastanza sull'asse di pertinenza rispetto al messaggio originale di Cateno e di questo me ne scuso; peraltro tra le mie righe ho affermato implicitamente una conclusione di segno evidentemente contrario rispetto alla sua partendo da un esempio non perfettamente calzante rispetto al bel tema che ha proposto e che merita risposte pertinenti.

Grazie.
digiu


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