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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Cateno Inserito il - 14/01/2005 : 17:36:59
Una cosa che sembra in silente e indolore via d’estinzione è senza dubbio il viaggio. Certo, non il viaggio inteso come mero spostarsi da un luogo all’altro, anzi questo è possibile oggi come non lo è stato mai. Ma io mi riferisco al viaggio che racchiude quel senso d’avventura e di precarietà, quel sentirsi soli non tra tanti ma tra il Tutto, quell’esplorare se stessi lungo il cammino. Era il viaggio che comprendeva in sé non solo la meta, come avviene oggi, ma lo stesso effettivo viaggiare, il tragitto. E’ vero, è comodo poter raggiungere qualsiasi luogo del mondo in pochissime ore. Ma volete mettere in confronto uno squallido ed indifferente aeroplano con il prendere al volo un treno di nascosto oppure “incarovanarsi” con gli zaini in spalla ed il fido bastone a sostenerci? Sono d’accordo: la mia è una visione romanzesca. Ma restando appunto in quest’ottica romantica (permettetemi il saltello, neanche tanto lungo, romanzesco-romantico) io sono per il viaggio che è introspezione e dialogo con se stessi e, sì, perfino con la vita e la morte: prendiamo il Viaggio D’Inverno di Müller musicato da Schubert. Sono affascinato dal viandante (il romanticismo mi mangia vivo!). Costui parte perché scacciato via, ma questo non è importante: la frustrazione accompagna ogni nostra aspettativa e allora le cose sono due: o restiamo intrappolati nella “gabbia di plastica” (ci mancava solo la citazione di Jimi Hendrix! Viva l’eclettismo!!!) oppure partiamo, andiamo avanti, viaggiamo cercando di evitare le buche più dure. Incontreremo neve e ghiaccio, ruscelli che prima ci salutavano adesso saranno muti e coperti di brina, rivedremo nostalgici i perduti tigli all’ombra della giovinezza; ma ci saranno anche ostelli, rifugi, anche cimiteri, volti amici e strani come noi, ad esempio un vecchietto che suona l’organetto e un cane (se c’era pure la scimmia facevamo il dolce Remì!). Oppure ce ne andremo come Bohemien, con i pugni nelle tasche sfondate, coi buchi nei calzoni, con le stelle che fanno fru fru. Sì, perché no? Saremo dei battelli ebbri e mescoleremo i colori dell’aurora anche a costo di non poter seguire più nessuna scia. Ma tutto ciò è possibile? Credo, in realtà ch’io mi sia stancato di vedere case, vicoli e palazzi (perché Margherita ama i colori!). Oggi, per contro, siamo fortunati. Abituati ad asfalto e cemento non abbiamo bisogno che di pochi passi per lanciarci all’avventura. Se nel “Fedro” Socrate sosteneva che alberi ecc, non possono insegnargli nulla, adesso è vero il contrario. E come ho detto, bastano pochi passi. Non siamo più abituati alla natura. Camminare a piedi ci sembra una catastrofe. Così, per mettermi alla prova sapete che ho fatto? Ho deciso di intraprendere un bel viaggetto: ho preso lo zaino, la tenda, il sacco a pelo e me ne sono andato da solo a percorrere il perimetro del lago che c’è qui a qualche chilometro da Regalbuto. Ci sono stato 24 ore. Ho dormito in tenda, da solo. Ho scoperto un sacco di cose. Ho fatto foto meravigliose, ho incontrato nel cammino solo un paio di cacciatori, ho trovato un compagno di strada formidabile e silenzioso, cioè il mio bastone, e infine ho rischiato di morire un paio di volte. Sono queste le situazioni in cui scopri forze in te che non sospetti. Quando sei immerso nel fango fino alle ginocchia, ne esci a fatica, non puoi andare avanti perché c’è un dirupo e sotto c’è il fiume che scorre rapido; ti volti e devi per forza arrampicarti; ci provi ma la terra ti frana sotto i piedi perché fangosa anch’essa. Che fai? Ti lasci prendere dal panico? Telefoni (avevo il cellulare, spento, ma non si sa mai!) a qualcuno? No. Ce la devi fare da solo. Allora ti guardi attorno, scopri una freddezza che non sapevi di possedere e noti una radice di un albero sopra il piccolo altipiano che è la tua salvezza. E ti ci aggrappi con una forza che non sospetti. Sali fin su, tra il rischio di farti tirare indietro dal pesante zaino e le gambe che cedono per la fatica. Sei arrivato. Ti rimetti in sesto e ti volti a guardare dov’eri. Sei davvero stato tu ad arrampicarti? Boh! Intanto sei vivo e pensi a fotografare le scarpe irriconoscibili e le gambe coperte di fango fino alle ginocchia. Poi viene la notte e monti la tenda. Fa buio presto. Alle 19 esci a guardare il cielo. Vedi tante stelle quante ti sembra di non averne mai viste. Le fissi, quelle piccole lucerne azzurrognole nel profondo oscuro blu. Tutto in un volta, ti assale e prostra un dubbio leopardiano. Ti senti maledettamente solo. Rientri in tenda e piano piano cominci a cantare.
Ma quando ritorni! Pensi che più nulla possa farti stare male. Ti senti diverso. Senti come se avessi anche lo sguardo diverso. Gli occhi sono diversi. Sei più silenzioso. Allo stesso tempo parli di più. Com’è possibile?
La mente ha risorse straordinarie. Esperienze come queste le portano alla luce. Ho capito la profonda unione che c’è tra noi e il mondo. Prima la intuivo, adesso l’ho vissuta. La nostra mente, in questo caso almeno quella parte visibile che chiamiamo corpo, è un meraviglioso portento, uno scrigno che racchiude meraviglie indescrivibili. Mi sento di fare un ringraziamento al prof Biuso e a tutti coloro che scrivono su questo forum. Senza le vostre parole avrei vissuto quest’esperienza in maniera molto meno profonda.
Ecco, il Viaggio: scoprire la mente.


Un buon aforisma è come l'amore: breve, lascia il segno e quasi sempre è falso.

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