V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Biuso |
Inserito il - 03/04/2008 : 19:45:07
Trent'anni fa il Parlamento italiano approvava la Legge 180, che ha preso nome dal più tenace tra coloro che la vollero: Franco Basaglia. Lo psichiatra sarebbe scomparso pochi anni dopo ma il suo contributo è rimasto tra i più significativi fra quelli che cercano di capire la follia. Perché Basaglia, contrariamente a ciò che spesso si pensa, non nega affatto che la follia esista ma anzi che «l'istituto manicomiale nasconde, impedisce di vedere la malattia mentale e, quindi, senza sopprimerlo non ci si può rendere conto di cosa essa è, poiché è totalmente deformata e trasformata dall'istituzione» (Ovadia, p. 56). Basaglia rifiutava ogni spiegazione monocausale della malattia mentale, compresa la semplicistica relazione causa-effetto tra fattori sociali e disturbi psichici, sostenendo che la follia «è un'interazione di tutti i livelli di cui siamo composti, biologico, sociale, psicologico, e di questa interazione fanno parte un'enorme quantità di variabili» (cit. da Cro, 69).
La scoperta di psicofarmaci in grado di restituire almeno in parte libertà e autonomia ai pazienti, indusse Basaglia a intraprendere la sua lotta per l'abolizione dei manicomi, luoghi apparentemente di cura ma in realtà di detenzione umiliante e feroce. Psicofarmaci che contribuirono a far «distinguere i danni provocati dalla malattia da quelli dovuti all'istituzionalizzazione» (Cro, 64) e che in questo stesso numero vengono difesi anche in una risposta che lo psichiatra Leonardo Tondo dà a proposito delle notizie -amplificate e manipolate- secondo le quali gli antidepressivi sarebbero solo dei placebo: «le alternative di cui parlano gli autori sono le psicoterapie: trattamenti, come lei sa, lunghi, costosi e dagli esiti molto più incerti, sulla cui efficacia gli studi sperimentali sono scarsi e dai risultati tutt'altro che convincenti» (11). In realtà, il rifiuto degli psicofarmaci -non del loro abuso, ovviamente- è un'altra conseguenza del rifiuto della corporeità organica, della struttura chimica che sta a fondamento del pensare, emozionarsi, amare, soffrire. Altra cosa è la fiducia eccessiva che spesso viene riposta nelle neurotecnologie, che -ad esempio- pretendono di dedurre dalla attivazione o meno di certe aree cerebrali sentimenti privati e persino scelte politiche. Alla cosiddetta "neuropolitica"; si può opporre, come hanno fatto gruppi di ricercatori, la constatazione che «le aree in cui è diviso il nostro sistema nervoso centrale sono implicate in molti stati mentali e, quindi, non è possibile stabilire una corrispondenza diretta tra un'area cerebrale e uno stato mentale» (cit. da Lavazza, 30), e ciò conferma che l'identità dei tipi è insostenibile ed è invece più plausibile l'identità delle occorrenze. La mente/cervello è, infatti, un processo straordinario e complesso, che nessuna tesi univoca o metodologia di ricerca può risolvere, spiritualista o materialista, dualista o eliminativista che sia.
Tornando a Basaglia, gli articoli che ne parlano ricordano giustamente che il periodo da lui trascorso negli Stati Uniti lo convinse anche del pericolo di una estensione acritica e indiscriminata del concetto di devianza, funzionale a «un controllo sociale sempre più capillare» (Cro, 67). Anche così si spiega la proposta di affidare il malato di mente a strutture molteplici e diffuse sul territorio. Che questa soluzione si sia rivelata troppo spesso fallimentare, non è dovuto alle tesi di Basaglia ma alla scarsezza di risorse investite nella cura effettiva dei malati. Oggi in Italia alcune zone hanno realizzato in pieno le indicazioni della 180 (Trieste, ad esempio), altre invece scaricano sulle famiglie il peso -enorme- della malattia. Ma ciò che l'impegno di Basaglia ha regalato a tutti noi -malati di mente conclamati o no- è il principio fondamentale «che qualsiasi paziente (e quindi non solo quello psichiatrico) ha il diritto di decidere come e quando farsi curare» (Ovadia, 55), sottraendo i nostri corpi al controllo autoritario della corporazione medica, che fa enormi danni (ed è complice di interessi inconfessabili) anche sulla drammatica vicenda delle donazioni di organi a cuore battente, tolti cioè a persone ancora vive, perché l'organo espiantato a un cadavere è -semplicemente- inutilizzabile.
Tra gli altri articoli di questo numero di Mente & Cervello sono interessanti quelli dedicati alla psicologia sociale di quanti si appassionano alle varie lotterie di cui il nostro Paese è dotato, passione che si fonda su un ottimismo irrealistico che si traduce in truffe legalizzate; agli effetti davvero efficaci della Pet Therapy, della presenza nella vita quotidiana di altri animali capaci di apportare consistenti benefici terapeutici; alla conferma di una delle più importanti tesi di Konrad Lorenz, a proposito della capacità di uccidere moltiplicata dalle armi (cultura) e non controllata da freni inibitori filogenetici (natura), come invece avviene in altre specie, i lupi per esempio: «ma il lupo che mostra il collo ha più possibilità di portare a casa la pelle di quante ne abbia un uomo che alza le mani davanti a un'arma» (Barberi, 48); alla Sindrome di Korsakoff, una amnesia anterograda per la quale la distruzione dei corpi mammillari del cervello conficca chi ne viene colpito in un presente immobile che dimentica dopo pochi minuti ogni evento nuovo, inchiodando la vittima a un tempo monocorde e ripetuto. Sindrome che conferma la complessità estrema della memoria, non localizzabile in nessuna parte specifica dell'encefalo e per la quale «ognuno degli elementi di questo circuito [di Papez] è indispensabile alla registrazione dei ricordi a lungo termine» (Verstichel, 74). In questo articolo viene anche illustrato un famoso esperimento ideato dal medico Edouard Claparède, il quale salutando una paziente affetta dalla sindrome di Korsakoff «aveva nascosto un ago nel palmo e aveva poi stretto la mano della paziente, pungendola,. In seguito la donna aveva dimenticato l'episodio, ma si rifiutava di stringere nuovamente la mano al medico: non si ricordava dell'accaduto, ma aveva interiorizzato il dolore associato alla stretta di mano del medico» (75). A conferma che il corpo non dimentica, mai.
agb ««Per lætitiam...intelligam passionem qua mens ad majorem perfectionem transit» (Spinoza, Ethica, III, XI, Scholium) |
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